L’Orso d’oro finisce in Cina L’Italia resta a mani vuote

Trionfa «Il matrimonio di Tuya». Al film di De Niro solo un premio di consolazione

L’Orso d’oro finisce in Cina L’Italia resta a mani vuote

da Berlino

Non era ancora accaduto che uno dei grossi festival finisse con una cerimonia dove sul palco, premiati, salissero solo persone note unicamente ai genitori. La Berlinale 2007 ottiene tale primato grazie alle scelte della giuria, presieduta da Paul Schrader e composta da Mario Adorf, Willem Dafoe, Gael Garcia Bernal, Hiam Abbass, Molly Malene Stensgaard e Nansun Shi. Per un verdetto simile, occorre risalire al Festival di Cannes del 1999, quando la giuria presieduta da un altro regista nordamericano, stavolta canadese, David Cronenberg, sconcertò premiando Rosetta dei fratelli Dardenne e L'umanità di Bruno Dumont. Qualche premio minore finì però a cineasti di qualche notorietà. Stavolta no: en plein di emergenti.
È una tendenza alla promozione - anziché alla consacrazione, come accadeva una volta - che percorre da tempo i grossi festival e che si esaspera quando le giurie sono presiedute da registi o attori (Frances Mc Dormand, in Coen, fece premiare proprio a Berlino una bella Carmen sudafricana solo due anni fa) che hanno lavorato a Hollywood e che, verso il sistema divistico, devono avere un certo risentimento. Spiegate alcune delle cause, restano le conseguenze. Inseguire gli Oscar deve parere inutile. Ci prova l'European Award e non ottiene molto. Perciò l'unica strada che resta ai grossi festival è lancia sconosciuti, stile festival di Castrocaro.
Regista e attori ignoti non significano film brutto: Il matrimonio di Tuya di Wang Quan’an, Orso d'oro, è una bella storia d'amore in Mongolia Interna, intrisa di sano realismo economico e percorsa da yak, i cammelli locali. Quanti biglietti staccherà il film a Berlino, per non dire a Milano? Probabilmente pochi, ma pazienza. Ed ecco un'altra delle cause delle selezioni e degli esiti dei grossi festival: occorre dare segni di attenzione a cinematografie di Paesi che aprano le porte alle cinematografie europee. La Mongolia Interna è quasi disabitata? Sì, ma il film è cinese e la Cina è abitatissima.
Ignorata l’Italia, il gran premio della giuria e l'Orso d'argento all'attore (Julio Chavez) per El otro (L'altro) di Ariel Rotter si possono interpretare analogamente. Oltre a dedursene che la giuria era divisa sulle preferenze, perciò andava compensato con due riconoscimenti chi non vinceva l'Orso d'oro. Se non si è stanchi, vedendo El Otro non ci si addormenta; ma nemmeno si esce dal cinema gridando al capolavoro. Ancor meno entusiasmi suscita la scelta di Joseph Cedar come miglior regista per Beaufort, salvo leggere il riconoscimento come diretto al tema della storia: l'abbandono a loro stessi di militari israeliani durante il ritiro dal Libano nel 2000. Nei festival capita spesso che si premino film per la trama, anziché per lo svolgimento della medesima: gli Oscar non vanno ormai sistematicamente ai personaggi, anziché agli interpreti?
Quanto al premio a Nina Hoss di Yella, rientra nelle cortesie verso chi paga le spese. Sono quattro anni che miglior attore o miglior attrice sono sempre un tedesco o una tedesca...

All'unica grossa produzione americana in concorso, L'ombra del potere di Robert De Niro, è andato il premio per il «contributo artistico» all'intero cast: insomma, la coppa del nonno. Peccato, perché, coi suoi limiti, è un film coraggioso, destinato a piacere a un pubblico e non solo a una giuria.

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