L’Udc si divide anche sullo scudocrociato

nostro inviato a Todi (Perugia)

È più di un’ipotesi: è l’idea forte condivisa da un bel pezzo di Udc e anche tra gli esponenti più vicini a Pier Ferdinando Casini. Il nuovo partito che nascerà quando la costituente di centro avrà finito il suo compito, potrebbe non avere lo scudo crociato nel logo. Questo perché il nuovo partito dovrà includere anche chi con quella tradizione non c’entra niente. Il destino dello scudo dei comuni è stato forse l’argomento che più ha diviso i centristi riuniti a Todi per il seminario della fondazione Liberal.
A lanciare il sasso nello stagno il segretario Lorenzo Cesa, che ha affidato il futuro nome e simbolo del partito a una libera consultazione via internet. «Dai prossimi giorni - ha annunciato - sarà attivo un sito a cui tutti potranno mandare idee e proposte per il simbolo e il nome». Cesa, che nei giorni scorsi ha azzerato tutte le cariche del partito a livello locale e nazionale in nome del rinnovamento, si è detto personalmente contrario a una scelta così dolorosa. Poco disposto a «rinunciare a chiudere in un armadio la parte più esaltante della nostra storia». Per nulla disposto Rocco Buttiglione, che vorrebbe mantenerlo, in quanto simbolo dell’unico partito liberale che l’Italia abbia conosciuto, quello di Luigi Sturzo. Al partito dei contrari si iscrive anche un padre nobile della vecchia Dc, Ciriaco De Mita. Contrario all’abolizione anche Enzo Carra. Tra i favorevoli Savino Pezzotta, che invita tutti ad andare oltre e puntare a qualcosa di più rispetto a un partito del 5-6 per cento. E questo dovrebbe essere il leit motiv dell’intervento che oggi Pier Ferdinando Casini terrà al seminario di Todi.
Tutti gli esponenti dell’Udc più vicini a Casini sono contrari. Anche Renzo Lusetti, uno dei giovani promettenti della vecchia Dc, approdato ai centristi dopo avere lasciato il Partito democratico, sicuro che per attrarre elettori e militanti provenienti dalla sinistra, si debba rinunciare a qualcosa. La decisione non è solo estetica. I difensori del simbolo accusano, a mezza voce, chi vuole rinunciare allo scudo di voler fare qualcosa di «troppo simile al Popolo della libertà». Ma, paradossalmente, quelli che nel partito vogliono mantenerlo, sono i centristi che guardano con più interesse a un ritorno nel centrodestra. Perché nell’Udc non ci sono correnti, ma le future alleanze sono un tema che cova sotto la cenere.
Semplificando, ci sono quelli che aspettano di vedere cosa succede e restano al centro. Sono i più numerosi anche perché hanno un riferimento nel leader Pier Ferdinando Casini. A loro si può appiccicare un’etichetta estranea alla tradizione Dc, cara invece ai socialisti che non volevano avere a che fare con il Pci: autonomisti. Si può considerare parte del gruppo Ferdinando Adornato, Pezzotta e Lusetti. La sorpresa è che, quando chiedi chi potrebbe essere a favore di un ritorno, in tempi più o meno lunghi, nel centrodestra esce il nome di Cesa. Segretario del partito, uomo vicinissimo a Casini, ma anche a quello che, nel brutto gergo dei partiti, si chiama territorio.
Una classificazione a parte vale il presidente del partito, Buttiglione. Dire che vuole l’alleanza con il Pdl è troppo, dire che vuole rimanere al centro è troppo poco. Dorotei è la classificazione giusta per chi, dal centro dell’Udc guarda al centrodestra, se non altro perché quello che c’è dall’altra parte - nella nuova e nella vecchia sinistra - non piace affatto. Con un paradosso spericolato si può includere un padre nobile della sinistra dc: Ciriaco De Mita. Sicuramente non per simpatie verso il Pdl; più perché è lui il riferimento in Campania. Pochi quelli che guardano a sinistra.

C’è Michele Vietti, esponente piemontese che non ha fatto marcia indietro rispetto alla scelta di allearsi con il centrosinistra di Mercedes Bresso. A sorpresa, dentro la tendenza «di sinistra» c’è Angelo Sanza, ex Forza Italia, esponente nazionale dei centristi e punto di riferimento dell’Udc in Puglia.

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