Nel gran calderone della crisi del debito sovrano, surriscaldato a fuoco sempre più alto dai cuochi della speculazione, lItalia non dovrebbe starci. Perchè anche solo pensare che il nostro Paese sia a rischio crac è semplicemente «ridicolo». Riprese da Bloomberg, le parole del presidente dellUnione Europea, Herman van Rompuy, arrivano alla fine di una settimana in cui i nostri titoli di Stato hanno ancora subito leffetto nefasto delle incertezze legate al salvataggio della Grecia e allirrisolta questione del rifinanziamento del debito statunitense. Il differenziale di rendimento tra i Btp e il bund tedesco si è accostato pericolosamente venerdì scorso al record di 340 punti toccato nelle ultime due settimane, durante le fasi di maggiore nervosismo, mentre il rendimento dei decennali italiani è arrivato a sfiorare il 6%.
Insomma, un crescendo di tensioni che però van Rompuy considera del tutto ingiustificato. «Lattuale valutazione dei rischi da parte dei mercati è completamente distinta dai parametri fondamentali - spiega il numero uno di Bruxelles - ed è alquanto ridicolo che nella graduatoria dei credit default swaps (lo scudo contro i rischi di bancarotta, ndr) Paesi come lItalia e la Spagna siano classificati nella categoria con il più elevato rischio di default». Considerato, continua, che la penisola nel 2014 raggiungerà il pareggio di bilancio e che Madrid ha adottato misure economiche coraggiose. Il presidente della Ue giudica dunque «sorprendente» che dopo lultimo vertice delleuro zona i tassi di questi Paesi siano così saliti, dal momento che «tutti i parametri macroeconomici di fondo» vanno «nella direzione opposta». E tra questi parametri è possibile inserire anche il miglioramento del mercato del lavoro questanno, con «la domanda - afferma Confindustria - che ha iniziato a espandersi» dopo un calo delloccupazione nel 2010 pari all1,1%.
Nella valutazione complessiva di van Rompuy si può cogliere anche un certo disappunto per le modalità con cui alcuni grandi gruppi finanziari stanno fronteggiando la crisi, contribuendo in buona misura ad accentuare il clima di incertezza. Sbarazzandosi di Btp per un controvalore di sette miliardi di euro, Deutsche Bank non ha per esempio dato grande prova di credere nelle capacità di tenuta dellItalia. E altrettanto si può dire per il Crédit Agricole, fra i maggiori investitori esteri nel Belpaese, che ha ridotto la sua esposizione netta verso il nostro debito da 12 a 10,1 miliardi fra marzo e dicembre 2010; oppure la spagnola Santander, i cui titoli italiani in portafoglio sono stati praticamente dimezzati (da 433 a 261 milioni); o anche Société Générale, passata da 4,9 miliardi di esposizione netta a 3,3 miliardi.
Eppure, gli analisti tendono a minimizzare le possibili ripercussioni sugli oneri del debito pubblico derivanti dallattuale fase di turbolenza sui titoli di Stato italiani. «Il nostro debito pubblico - spiega Sergio Capaldi di Intesa Sanpaolo - ha una scadenza media lunga e un costo medio che al momento è di 100 punti base al di sotto di quello che era nel 2008. Tre anni fa eravamo al 4,5% - puntualizza - oggi invece siamo al 3,58%». Come è possibile? Per tre ragioni, dice Capaldi: la protezione assicurata dalleuro, il risparmio delle famiglie e le misure di contenimento della spesa, «in assenza dei quali lItalia sarebbe già stata travolta dalla crisi». Così, per avere un effetto davvero sensibile sul costo del debito pubblico italiano «ci vorrebbero non settimane, ma interi trimestri di pressione sui rendimenti dei nostri titoli». Daccordo il rappresentante di unaltra banca milanese, che preferisce però rimanere anonimo, secondo cui solo se il rendimento medio dei Btp italiani dovesse salire di 100 punti base, «sarebbe necessario 1 punto percentuale in più di Pil» per mantenere i costi in equilibrio. Le tensioni attuali, gli fa eco un esperto di una primaria Sim, per non scongiurare leffetto della manovra economica, potrebbero richiedere «uno 0,3-0,5% in più di crescita del Pil a seconda di come evolve la curva degli spread.
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