Cronache

L’ultima notte dell’Andrea Doria la nave capace di far innamorare

Alessandro Massobrio

L’Andrea Doria era una nave bellissima, non immensa, non supertecnologizzata, non un albergo galleggiante, creato per vacanze di ricchi indolenti e sempre assetati di novità.
L'Andrea Doria era in primo luogo una nave, ma una nave dalle linee armoniche e sontuose, un nave - donna - se è lecito usare una simile endiadi - di cui ci si poteva innamorare.
Non si tratta di congetture, suggerite della prosa limpida quanto convincente di Pierrette Simpson. Che l'Andrea Doria fosse proprio così ce lo rivelano le numerose foto d'epoca in cui il lettore s'imbatte ad ogni voltar di pagina nel corso della lettura di questo libro, che è una deposizione d'innocenza ed un riconoscimento al valore, che, dopo sessant'anni di silenzio, ci giungono da oltreoceano.
L'Andrea Doria era talmente donna che di lei si era follemente innamorato il suo comandante, quel Piero Calamai, che esitò a lungo prima di abbandonare la propria sposa, prima di permettere che di lei si impadronissero quegli sciacalli del mare, che sanno che ogni relitto abbandonato alla deriva diviene proprietà di colui che per primo se ne impossessa.
Piero Calamai fu perciò quasi costretto dai suoi ufficiali a scendere la scaletta di bordo per imbarcarsi nella scialuppa che lo attendeva più sotto. Ma questa tenacia, questa volontà di morire insieme con la donna amata, non valsero comunque al comandante italiano l'immunità da anni di insinuazioni, di ammiccamenti, di mezze parole, che avevano come unico obiettivo quello di mettere in dubbio il coraggio e la dedizione al dovere degli uomini della nostra marina. E di trasformare un devoto servitore dell'Italia sui mari del pianeta in una sorta di Lord Jim di conradiana memoria. Alla ricerca di un riscatto quanto mai improbabile, dopo il balzo nel vuoto che ne avrebbe segnato il destino.
Il fatto è che quel balzo nel vuoto non si verificò mai o meglio, quando si verificò, era ormai assolutamente necessario si verificasse, altrimenti l'enorme gorgo provocato dall'inabissamento dello scafo del transatlantico avrebbe trascinato con sé presunti salvatori e presunti salvati.
Ciononostante, non un commento, non una dichiarazione di innocenza si sono levati, in questi anni, da parte dell'altrettanto presunto colpevole ed è dunque commuovente che una figlia di emigranti, come Pierrette Domenica Simpson, ponga una buona volta fine a tutta questa gratuita esercitazione di calunnia.
Ma la Simpson non si limita a scrivere per la storia o - come si sarebbe detto una volta - per la posterità. La sua indagine, minuziosa quanto completa, non trascura alcun particolare dello sfondo che vide il bel transatlantico italiano, spiccare il suo volo dal porto di Genova, per dirigersi verso New York. Fino a quando, in quella nebbiosa domenica del 25 luglio 1956, come dal nulla emerse la prua del rompighiaccio Stockholm, che, come una lama nel burro, affondò nel fianco dell'Andrea Doria.
Allora quello che avrebbe dovuto essere per molti emigranti italiani un tranquillo viaggio di spostamento alla ricerca di terre nuove e cieli nuovi, si trasformò nel momento culminante dell'intera esistenza. Il momento in cui un essere umano è chiamato a dar prova di sé e del proprio valore.
Quelli che abbiamo chiamato prove sono in realtà gli atti di eroismo e di disperazione di una porzione di umanità, che d'improvviso veniva a trovarsi faccia a faccia con il suo destino ultimo. La morte, a differenza di quanto possano pensare psicologi new age e sociologi impegnati nel sociale, che, come ha dimostrato in un suo bel libro Vittorio Messori cercano in tutti i modi di rimuoverne non soltanto la presenza ma anche la sola idea, è una grande catalizzatrice di energie. Energie nel senso greco di potenzialità. Ciò che per decenni si era conservato a livello potenziale, di fronte al destino ultimo dell'uomo, d'improvviso, si propone in atto. E di questa metamorfosi solo in apparenza sorprendente Pierrette Domenica Simpson ci fornisce nel libro una rassegna memorabile. A cominciare da se stessa, una bambina piemontese, abituata a vivere nel paesello natio con i nonni, tormentando periodicamente il povero gatto di casa, che ora d'improvviso avverte la drammaticità della situazione che la circonda. Registra nella mente episodi e parole, che si impennano dalla tranquilla routine al più decisivo dramma esistenziale.
Atti ed eventi vengono così fissati una volta per tutte in una serie di indimenticabili fotogrammi, che posseggono un tanto maggiore grado di realismo, quanto più la mente della piccola testimone si rivela sgombra da suggestioni letterarie e culturali, che ne avrebbero potuto deformare la prospettiva.
Non a torto, come è stato scritto nella premessa, L'ultima notte dell'Andrea D'Oria si avvia a divenire - se già non lo è divenuto - un classico nel suo genere. Quello delle testimonianze oculari dei grandi fatti che hanno segnato il secolo appena trascorso.
Pierette Domenica Simpson, L'ultima notte dell'Andrea Doria, Sperling & Cupfer, Milano 2006, pag.

351, euro 17,00.

Commenti