da Roma
«Gonfio di vuota superbia, un corvo raccolse le penne che erano cadute al pavone e se ne ornò tutto: quindi, disprezzando i suoi, si aggregò alla magnifica brigata dei pavoni». Ricorderete, la favoletta di Esopo. Vi è tornata alla memoria ieri sera se, non avendo di meglio, sonnecchiavate guardando Porta a porta. Dopo la puntata su Lourdes, Vespa s’è sparato un altro miracolo da far sobbalzare i telespettatori: Veltroni che s’incorona vincitore della campagna Alitalia, deus ex machina della trattativa, go fato tuto mi, ma quale Cavaliere e cardinal Letta, se non c’ero io, caro lei, eravate alla rovina.
Da lasciar stupefatti anche quanti del tormentone sulla «compagnia di bandiera» non ne possono più, sopportano a malapena i salvatori veri figurarsi quelli falsi che rivendicano il gol e si sbracciano a partita già finita e stadio vuoto. Più che di vuota superbia però, il giovane (si fa per dire, ormai) Uolter è parso gonfio di affanno e disperazione.
E a seppellire senza appello la rivendicazione veltroniana, bruciando l’ultima piuma sgargiante di cui il corvo s’è rivestito, è l’assordante silenzio che monta dal suo stesso partito. Nessuno, men che meno D’Alema, s’è alzato per dire: sì è vero, Veltroni ha salvato Alitalia.
La disperazione gioca brutti scherzi, spinge ad arrampicarsi sugli specchi e rende la caduta del corvo ancor più rovinosa. Si fosse limitato a dire «anch’io ho dato il mio piccolo contributo, ho convinto Epifani a rimangiarsi il niet», avrebbe fatto la sua figura dimostrando che anche il Pd c’è e lotta assieme a noi. Invece ha voluto strafare, appropriandosi di ogni merito e accusando il governo di aver remato contro. Uno spettacolo doloroso, da arrossire per lui e velocemente cambiar canale.
Ma come si fa a proclamare alle telecamere «basta con gli spot, i fuochi d’artificio, il bullismo al governo: è un dovere far sapere agli italiani come stanno le cose»? Come se gli italiani dell’affaire Alitalia non avessero saputo nulla sino a ieri; e giornali, tigì pubblici e privati, da un paio di mesi andassero raccontando fole a un popolo con l’anello al naso. Livoroso e risentito, Veltroni ha sparato su Berlusconi che, «pur sapendo quello che stavamo facendo, mi ha attaccato». Lui però, l’unico e vero eroe seppur misconosciuto, è anche un signore che par soffrire confessando come, «invece di dire al governo: “restate nel macello che avete combinato”, abbiamo cercato di dare una mano; ma Berlusconi non ha riconosciuto il risultato».
Ormai lanciato e non potendo far marcia indietro, ha alzato ancor più la ruota da pavone strabiliando ospiti in studio e spettatori a casa. Berlusconi canta vittoria e si gloria? Ma via, la verità veltroniana è tutt’altra: il premier «non ha favorito» la trattativa perché «ha insultato» l’opposizione «che cercava di dare una mano», anzi «non ha fatto altro che insultare una parte del sindacato, e cioè la Cgil: e quando si cerca di favorire una trattativa, questo non si fa».
E finalmente la rivelazione, Clark Kent si strappa la camicia mostrando i pettorali di Superman: «Il momento chiave è stato 48 ore fa: allora la vicenda era drammaticamente conclusa ma poi io ho cercato di fare il mio dovere, ho cercato di far fare un passo avanti alla Cai nel tentativo di costruire le condizioni di una nuova proposta». Come, come? Tutto era miserevolmente crollato quando è giunto il salvatore? Quale miracolo ha compiuto, il buon Uolter? «48 ore fa si è sbloccata la situazione perché, mettendo insieme Colaninno ed Epifani, ho cercato di favorire il fatto che si trovasse un punto di intesa», ha confessato con orgoglio Veltroni.
Hai capito?! Ma non era nella sua nuova casa a Manhattan fino all’altro ieri? E in soldoni: per cercarsi e partorir poi tanta e sì sconvolgente innovazione, Colaninno ed Epifani avevano bisogno di lui? Quei due che oltretutto, se devono qualcosa a qualcuno nel Pd non è certo il segretario ma piuttosto D’Alema. E perché Veltroni esce ora dal silenzio e rompe la sua nobile discrezione? «Io non avrei replicato al premier se lui, prima di partire per una destinazione che non conosciamo, non avesse fatto un attacco a freddo contro di me». Con infantile cattiveria, come se ritenesse un’onta andarsi a riposare in un centro benessere.
Ma il peso delle penne altrui intossica, e Veltroni non si teneva più: «Sacconi era livido perché la trattativa era saltata, voleva danneggiare qualcuno».
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