Tony Damascelli
nostro inviato a Parigi
Come dimenticare? Così dicevano i francesi, abituati alle false malinconie, prima di questa sera di settembre. Loro hanno già dimenticato, almeno stando al risultato, almeno stando agli olè con i quali ci hanno scherzato, almeno stando al gioco da loro espresso, almeno stando a tutte queste cose qui che hanno portato alla vittoria secca, forse di cartone si potrebbe pensare, rispetto alla coppa del mondo voglio dire, e alla nostra mortificazione, rispetto alla coppa dEuropa cioè, appena incominciata e già lontana, un piccolo punto in due partite. Non doveva essere rivincita però uscire da Parigi con la faccia presa a schiaffi non provoca particolari piaceri. Sarà la condizione precaria, sarà che gli stimoli per loro erano ben diversi e più tosti di quelli che hanno spinto i nostri, il totale sarebbe davvero da dimenticare, stavolta per i campioni del mondo, titolo che comunque va onorato diversamente, magari con una vittoria che sembra già un articolo smarrito. La Francia non è stata affatto douce, come era prevedibile.
La banlieu dello stadio si era fatta riconoscere già unora prima del fischio dinizio. La zona è Saint Denis, quella giusta e calda, non soltanto per lafa viscida di questo settembre ma per i fatti e misfatti del passato prossimo, diurni e notturni, tra auto bruciate e aggressioni varie. Fischi lunghi e pernacchie agli azzurri che mettevano i piedi sul prato verdissimo, un grandioso bandierone tricolore copriva la curva dei tifosi italiani, al centro, le quattro stelle gialle, bella e fresca memoria mondiale per gli azzurri e perfido ricordo berlinese per i francesi. Fischioni allannuncio della formazione nostra, Gattuso e Inzaghi in hit parade, delirio vendicativo quando sfilano i cognomi dei vicecampioni con qualche uh! a sorpresa per quel simpaticone di Raymond Domenech, vestito come un addetto delle pompe funebri e dunque non propriamente amato dalla banlieu di cui sopra. In curva pure cinquanta sans papier ai quali Viera e Thuram ieri mattina avevano offerto un biglietto per la partita, creando qualche disagio tra federazione e ministero degli Interni ma ribadendo il proprio impegno sullargomento. Nonostante linvito dello speaker al rispetto degli inni quando parte Mameli partono i fischi, qualche testa fresca nostrana fa il saluto romano, i sodali francesi, gli stessi che urlavano nel 1980, «cocu», cornuto a Platini per le sue storie di famiglia, oggi urlano estasiati il nome di Zizou che lava la coscienza e altro. Per fortuna limmagine di Giacinto Facchetti, grande grandiosa sui due schermi dello stadio, vestito di azzurro, con un sorriso nervoso, riporta la pace e il silenzio. Ma anche un senso di malinconia lontana.
Basta voltarsi, ecco i fotogrammi goliardici nel settore stampa, tra i presenti qualcuno ha voluto onorare, si fa per dire, lassente Materazzi indossando la maglietta con il 23, alcune femmine strillano come galline ogni volta che un coq entra in possesso di palla, è il bello dellera moderna. Sydney Govou macchia le quattro stelle non appena ci sediamo a tavola, ci si mette pure Cannavaro a far fesso Buffon con una carambola sul tiro di Henry detto Titì, dimenticato per fair play, la temperatura dentro lo stadio monta a tremila gradi, temiamo la confiture, come detto alla vigilia, una marmellata per niente dolce che sta per travolgerci, «ou sont les italiens? ou sont les italiens?», dove sono gli italiani? la molestia dei tifosi arriva da ogni dove, tribuna stampa compresa, Gilardino risponde appena allinterrogativo, gli italiani ci sono, torniamo a respirare per lo spazio di un mattino, le galline ristrillano con Govou che rincitrullisce la testa di Cannavaro e degli italiani tutti. Un altro coup de boule ma stavolta roba di football, niente provocazioni, niente reazioni, gol e basta, di capa. Lo stadio torna a evocare Zizou Zizou, ne sentono la mancanza, come della coppa del mondo, sognata, inseguita, intravista, persa. Ma questi sono capricci di tarda estate.
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