MilanoIn attesa di una svolta che non vuole arrivare, il giallo di Garlasco diventa la guerra del dettaglio. Una parola, un nome che si sente in sottofondo, nel corso di una telefonata, può servire per incrinare certezze e soprattutto per mettere in discussione la credibilità delleterno imputato, Alberto Stasi. Nulla di decisivo, in un processo che faticosamente mette insieme davanti al gup Stefano Vitelli i risultati, complessi e in parte controversi, di quattro perizie che stanno trasformando le udienze in dibattiti scientifici. Ma è la parte civile, in difficoltà nelle ultime settimane, a segnare un mezzo punto. Accade quando si discute sulla famosissima chiamata al 118 che Stasi fa dal suo cellulare intorno alle 13.50 del 13 agosto, subito dopo, secondo la sua versione, aver scoperto il corpo della fidanzata. Alberto ha sempre detto che quella chiamata si svolse, o meglio cominciò, quando era ancora davanti allabitazione. Sembrava un dato certo, ma in questa storia tutto è relativo e dunque sono gli stessi periti a far notare che al trentottesimo secondo si sente chiaramente qualcuno che esclama: «Andrea». Andrea, non ci sono dubbi, è un carabiniere, ma se è un militare allora Stasi era già davanti alla caserma e trentotto secondi non bastano, nemmeno al volante di una Ferrari, per percorrere il tragitto dalla casa del delitto, in via Pascoli, al presidio dellArma. E allora? Stasi mente?
«Rispetto alle celle del cellulare agganciate sulle telefonate che fa - spiega il perito del giudice Daniele Occhetti - e rispetto ai tempi, ci sono poche corrispondenze. Stasi potrebbe essere stato molto più vicino alla caserma che non a casa Poggi».
Cambia qualcosa? Di per sé, il dato non modifica certo la storia di quella giornata, ma serve a insinuare lo spillo del dubbio: Stasi non la racconta giusta. È la guerriglia psicologica.
Si combatte dunque sulle virgole e, a più di due anni dal massacro, spunta addirittura un nuovo testimone: un uomo, ascoltato nei giorni scorsi dai carabinieri e intervistato dal programma Chi lha visto?, che alle 7.30 del mattino avrebbe visto qualcuno chino su una bicicletta allaltezza della villetta dei Poggi. Era Stasi? Un passante? Una visione, in un orario oltretutto lontano dallora del delitto? Meglio concentrarsi sullessenziale, come fa il giudice, armato di pazienza: «In aula - spiega ai cronisti nel corso di una pausa - cè un clima molto positivo, bellissimo, caratterizzato da grande disponibilità. Spero che tutte le perizie vengano sviscerate allo stesso modo dalla prima allultima riga». Si va avanti a oltranza: quello che solo nominalmente è un processo con il rito abbreviato di fatto è un dibattimento chilometrico. Che, forse, arriverà alla conclusione solo per Natale se non con lanno nuovo. E tutti gli elementi raccolti sono oggetto di un continuo tira e molla fra accusa e difesa.
Così si accende la mischia anche sul video che lavvocato Gian Luigi Tizzoni, il legale dei Poggi, ha girato per ricostruire la presunta fuga in bicicletta di Stasi dalla casa di via Pascoli. Per il professor Angelo Giarda, difensore dellimputato, quel video non dovrebbe entrare negli atti del processo. Il giudice la pensa diversamente, acquisisce il filmato e ne proietta in aula una parte. Obiezione: per Giarda lattore che impersona il giovane va troppo veloce ai pedali. Ma per Tizzoni, secondo più secondo meno, Stasi ha avuto tutto il tempo per compiere il delitto. E precisamente ventisei minuti. I ventisei minuti compresi fra le 9.10, quando Chiara stacca lallarme, e le 9.36, quando Alberto accende il pc per lavorare alla tesi di laurea. E il pc è lalibi, di fatto invalicabile, che fa da scudo al ragazzo per il resto della mattinata. Fino alle 12.20. Nelle ore in cui, secondo la Procura, avrebbe ucciso Chiara con unarma mai ritrovata.
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