La prima donna direttore dell’Unità, Concita De Gregorio, fa precedere i propri editoriali dalla lettera di un lettore che glieli ispira. Un modo per dirgli che il giornale è fatto su sua misura. Proclamare che il padrone del giornale è il lettore, è un luogo comune del giornalismo. Ma finora era rimasta un’asserzione astratta. Concita le ha invece dato plastica evidenza e con tocco squisitamente femminile ha conferito al suo articolo di fondo le sembianze della «Posta del cuore».
Nell’editoriale-riposta mette poi, da par suo, ciò che pare a lei. Ieri se l’è presa col governo che fa solo «scemenze di facciata senza arrivare mai alla sostanza delle cose». Per esempio, il ministro Mara Carfagna caccia le prostitute dalle strade ma solo a difesa del decoro urbano. Mentre, se non fosse una frou frou berlusconiana, sarebbe suo dovere combattere la prostituzione alla radice affrancando le donne dal mestiere più antico del mondo e l’uomo dal più inveterato dei suoi vizi.
Idem con quella quisquilia dei rifiuti napoletani. Il governo si vanta di averli tolti dalle strade e di fare presidiare le discariche dai militari. La solita facciata. Tanto per fare belle foto. Il vero problema, sostiene Concita, è la camorra. «È per caso sparita? Certo che no, ma conta la foto. Un bell’annuncio, quattro soldati con la mitraglietta … E poi tutti giù a parlare di estetica, pazienza per l’etica», conclude Concita.
Avrete capito che il neodirettore è una personcina molto esigente. Il governo toglie il sesso dalle strade, lei lo vuole estirpare dalla Terra. Il Cav elimina rifiuti accumulati da anni e Concita si secca perché i guappi ci sono ancora. Se un giorno il governo vincesse la malavita, la direttora attaccherebbe con la disoccupazione. Abolita quella, sarà la volta del Vesuvio che minaccia di esplodere.
Detto questo, la prosa di Concita è lontana dalla truculenza cui il giornale fondato da Gramsci ci aveva abituati. La foga di Marco Travaglio o degli ex direttori, Furio Colombo e Antonio Padellaro, le sono estranei. Anzi è riuscita pure ad ammansire Colombo che ieri ha scritto uno struggente articolo «Morte di un ospedale», sul nosocomio romano San Giacomo. Non ci crederete: non una parola contro il Cav, solo un de profundis per l'ospedale che la Regione, governata dalla sinistra, ha deciso di trasferire dal centro a un lontano luogo imprecisato. Un Colombo inedito e accorato il quale ricorda alla sinistra dimentica che «vengono prima persone, dolore, speranze, ansia, attesa». In sintonia con i gusti di Concita che sui temi intimisti e sociali, maternità in primis, ha costruito la sua carriera giornalistica nei diciotto anni in cui fu inviata di Repubblica.
Designata dal governatore sardo, Renato Soru, patron di Tiscali e nuovo proprietario dell’Unità, Concita si è insediata 20 giorni fa in punta di piedi. La redazione era traumatizzata dall’improvvisa cacciata di Padellaro anticipata da un'inopportuna intervista di Walter Veltroni. «Sarebbe bello un direttore donna», aveva detto il capo del Pd rivelando quanto bolliva segretamente in pentola sul futuro del giornale. Un fulmine a ciel sereno. Padellaro intuì il benservito; la redazione che era stata scavalcata. Arrivava Concita.
All'Unità detestano quelli di Repubblica. Hanno il complesso dei giornalisti militanti, un po' secchioni e di serie B, di fronte ai republicones radical chic che, senza averne la tessera, si ergono a mosche cocchiere del partito dei Veltroni, Fassino, D'Alema. Dieci anni fa avevano già avuto l'esperienza di un direttore approdato da Repubblica, Mino Fuccillo. Fu considerato altezzoso e supponente. Si chiudeva con i fedelissimi e la sua stanza restava tabù per tutti gli altri. Con la nuova venuta, l'incubo risuscitava.
Ma Concita è stata bravissima. Si è presentata quasi in gramaglie. Abitino nero, filo di perle e scarpe in stoffa scozzese. Si è seduta a casaccio tra i redattori e ha detto: «Sono qui per sentire voi». Li ha poi avvolti con lo sguardo munito di occhialini da maestrina con pendaglio bertinottiano e ha aggiunto: «Non sono venuta a stravolgere, ma a sviluppare lo spirito del giornale». E ha subito aggiunto che avrebbe mantenuto la tradizionale striscia rossa sotto la testata. Tutti hanno notato la bella voce flautata che Concita usa quando deve incantare. La sfodera nelle circostanze estreme. Per ottenere un’intervista ambita. Per strappare una confidenza scabrosa. Per affascinare gli ascoltatori di «Prima pagina», la rassegna stampa di Radiotre, che estasiati esclamano: «Che voce angelica». Una volta, con questa tecnica irretì Max D’Alema. Mentre lui parlava, Concita faceva la cerbiatta e sussurrando come una corda di violino lo incoraggiava a dire di più. Max si ringalluzzì e si vantò di essere un fusto. «In palestra - disse - scolpisco i miei deltoidi (muscolo della scapola, ndr)». Frase da pollo che l’indomani uscì puntualmente sulla Repubblica.
Insomma, per tornare al suo primo giorno all’Unità, Concita coprì la sua durezza - ne ha tanta per via dell'ambizione - in un’aura celestiale. Ebbe il buon gusto di non occupare subito la stanza appena lasciata da Padellaro, sistemandosi in quella attigua. Poi fece il giro della sede di via Benaglia in Trastevere. Desolante. Vide che dal soffitto cadeva acqua e dalle pareti l'intonaco. Ma non batté ciglio. Solo arrivando nella misera stanzetta della tipografia, sussurrò: «Tutto qui?». Passata una settimana prese possesso della stanza direttoriale mettendo in bella evidenza la piantina che Padellaro, da gentiluomo, le aveva inviato come benvenuto. Finalmente, avuta la certezza di essere stata digerita dalla redazione, si è permessa questa osservazione: «Avevo messo in conto tutto, ma le zanzare no». I ditteri, che vengono dal vicino Tevere, si sarebbero infatti dimostrati particolarmente attratti dal nuovo direttore e dai suoi profumi della buona borghesia.
Concita è una quarantacinquenne di ottimi natali. Toscani per parte di padre, magistrato; spagnoli dal lato della mamma. Di qui, il nome esotico. Dopo una prima infanzia a Pisa dov’è nata, Concita si trasferì con la famiglia a Barcellona. Allieva della scuola italiana del capoluogo catalano, assorbì le due culture. Poi tornò in Toscana, stavolta a Livorno. A Pisa, si laureò in Scienze politiche e si buttò nel giornalismo. Prima con le tv e radio locali, poi redattrice del Vernacoliere, giornale caustico e scollacciato. Di quel tirocinio le è rimasta la vena, depurata però dalle battutacce. Poi, per otto anni, è stata al Tirreno il giornale che fu dei Ciano ma che da sessant’anni è di sinistra e ora feudo di De Benedetti, proprietario di Repubblica.
Al Tirreno, Concita ha conosciuto un atletico divorziato, Alessandro Cecioni, oggi suo marito. Ottimo cronista - autore di un libro sul mostro di Firenze - Alessandro è un solido rugbista ma anche padre amorevole. Dopo un figlio di primo letto che vive con lui, Cecioni ne ha avuti tre da Concita, tutti biondi. Se Concita ha fatto carriera lo deve ad Alessandro che, da maschio moderno, ha accudito i figli mentre la moglie scalava la professione.
La svolta di Concita avvenne col suo ingresso a Repubblica. Ci è entrata con un concorso interno al gruppo De Benedetti. Gli elaborati erano anonimi ma l'occhio di Giampaolo Pansa, membro della giuria, cadde su quello di Concita. «Ottimo - esclamò -. Sono sicuro che è una donna. Vorrei premiarlo». Gli erano andati a genio lo stile svelto, ipervirgolettato, l'ironia distaccata, l’assenza di ragionamenti arzigogolati. Caratteristiche che, assunta a Repubblica, piacquero subito anche al direttore Eugenio Scalfari, nonostante fossero agli antipodi del suo stile ciceroniano e camomillesco. In comune però hanno quell’osservare dall'alto come se il resto del mondo fosse popolato da insetti dediti alle pinzillacchere.
Di Concita va colta l’impressione d'insieme. Guai analizzarne le singole frasi. Non ci si raccapezzerebbe, zeppe come sono di anacoluti. Esempio: «Penserà di avere salvato il festival, di certo. Lo pensa, dice che il suo è il “festival anno zero”. ”Appunto come Cristo Salvatore”. Il salvatore con la coppola è in sala prove che balla il flamenco con Gipsy King, adesso» (riferito a Tony Renis da lei ritenuto mafioso, ndr).
Amata dai lettori di Repubblica, Concita ne ha vellicato l’odio per il Cav contrapponendolo al meraviglioso Prodi. «Le due Italie», le definisce lei: «Prodi ha fatto l’euro, Berlusconi il lodo Schifani»; «le volontarie (di Prodi, ndr), le veline»; «dal convento, alla convention (del Cav, ndr); «il mondo pensoso del Mulino e quello scintillante del Biscione» e via così.
Ma il suo innamoramento politico è per Veltroni. Ne ha seguito la campagna elettorale più da reggicoda che da giornalista. Chi la stima parla di cotta autentica ed esclude un arruffianamento per la futura direzione. Sta di fatto che l’ha avuta. Chi la detesta per la decisione con cui strappa ai colleghi le persone che vuole intervistare appartandosi con loro, dice che non capisce nulla di politica, non ha notizie, eccetera. In realtà, fu lei a scoprire le famose scarpe di D’Alema a 1,5 milioni di lire. Ha inventato la parola «girotondini» e lanciato le suffragette tipo Marina Astrologo. Tra i suoi cavalli di battaglia, Nanni Moretti, che si apre solo con lei.
L’altro coté di Concita è il sociale: asili nido, nosocomi, maternità. Trimamma, com’è, ha scritto una quasi autobiografia, Una mamma lo sa, in cui con la scusa di intervistare venti madri - dall’attrice Brooke Shields, a Valentina Vezzali che vinse il mondiale di scherma 18 giorni dopo avere partorito - parla di se stessa, amandosi assai. Sostiene di avere accettato la direzione perché chi ha allevato tre figli, può tutto.
Un terzo aspetto di questa poliedrica personalità italo-ispana è il tango. Concita è una tanguera coi fiocchi.
Fa coppia fissa col bonaerense Julio Velasco, il bel tenebroso della pallavolo. Particolarmente affiatati nella milonga, si esibiscono in una balera di periferia al Pigneto. Poi, tonica di adrenalina, Concita corre all’Unità e spacca il mondo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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