L’Unione gioca la solita carta: l’immobilismo

Arturo Gismondi

La figura peggiore, l’ha fatta Romano Prodi. Chiamato in causa sulla assenza dal programma dell’Unione fra le «grandi opere» da realizzare della Tav Lione-Torino avversata fieramente dalla sinistra alternativa, ha parlato di una “dimenticanza”. Lui non aveva riletto l’ultima stesura del «programma», di qui la svista.
L’idea della “dimenticanza” viene schernita da Antonio Ferrentino, presidente Ds di una comunità montana della valle, che dice: «E dai, in 280 pagine ti scordi la Tav in Val di Susa? È una bambinata». L’estrema sinistra è compatta per la tesi della “vittoria”, la loro e quella delle popolazioni della Valle. Cento dice che «l’assenza dal programma della Tav in Val di Susa non è casuale. Significa che non è una priorità». E Rizzo, dei Comunisti italiani, aggiunge che altre sono le cosiddette priorità. «Prima di mettere in programma opere faraoniche, fate camminare i treni che ci sono». Nell’Unione infuriano le polemiche, e anche la confusione. Fassino dice che la Tav Lione-Torino si farà, la stessa cosa dice Enrico Letta il quale però, di “dimenticanza” ne indica un’altra, quella del Mose, le chiuse nella Laguna destinate a impedire le acque alte a Venezia. È un’opera, questa, che ha già subito il sabotaggio dei centri sociali veneziani, che si sono accaniti qualche tempo fa contro i cantieri.
Alla fine anche Prodi dice che la Tav si farà, ma se ne tornerà a parlare dopo la fine delle Olimpiadi, e ormai dopo le elezioni. E poiché Rifondazioni e la sinistra “alternativa” insistono che non se ne farà nulla, lo scontro è destinato a riaprirsi alla prossima legislatura, per ora ognuno potrà continuare a dire la sua. La vicenda, dietro le mezze smentite, gli imbarazzati silenzi e le grida di giubilo rivela un conflitto reale, e serio, che percorre la sinistra. Perché il caso Tav in Val di Susa, e gli infiniti casi che esplodono un po’ dappertutto mettono in luce un contrasto difficile da comporre fra una sinistra che si definisce riformista, che le opere le ha nel programma, si è impegnata a farle, e una sinistra “alternativa” con seguito di contestatori organizzati. Sulla Lione-Torino sono riusciti, fra blocchi stradali, barricate e ostruzionismi vari, a bloccare l’avvio dei cantieri. Fin qui ha contato il timore di inasprire il clima attorno alle Olimpiadi, poi saremo alla vigilia delle elezioni, e la resistenza non accenna a diminuire.
L’Unione sembra avviata nei casi contestati verso una via “mediana”: si afferma solennemente che le opere vanno fatte, ma d’accordo con la popolazione, con le resistenze che si levano in tutta Italia soprattutto a opera di Verdi e Comunisti. Nel mirino del centrosinistra, finirebbe per entrare la Legge Obiettivo sulle grandi opere, nata in Europa e approvata anche da noi nella convinzione che un abbandono alle mille resistenze locali significhi il trionfo dell’immobilità. Romano Prodi sulla questione non può dare assicurazioni. È la composizione stessa dell’Unione a vietarglielo: la sua durata a Palazzo Chigi nel caso di vittoria è garantita dalla sinistra “alternativa” e dall’alleanza con Bertinotti.
Lo scontro sul tema delle grandi opere è pericoloso per l’Unione, ma lo è anche per il Paese. Non si tratta solo delle opere viarie, Tav o non Tav. Ci sono esempi che vanno tutti nella stessa direzione, quella del «no» a ogni infrastruttura che consenta di uscire dall’attuale stato di immobilità: c'è la decisione della Regione Lazio di interrompere i lavori per la centrale a carbone, nata per diminuire la dipendenza dal gas russo, e c’è il «no» della Puglia alla installazione dei rigassificatori, per aumentare le scorte di gas acquistabili, allo stato liquido, da altre regioni del mondo, dalla Nigeria al Sud America.

C’è insomma una «sinistra del no» decisa a opporsi a ogni modernizzazione delle strutture del Paese, mobilitando sul territorio gruppi organizzati per acuire le diverse crisi. È il «partito del no» all’opera nella Val di Susa come nel resto d’Italia.
a.gismondi@tin.it

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