da Roma
È il momento del «gioco corto», dei passaggini ravvicinati, di un equilibrio più avanzato da trovare facendo qualche passo indietro. Il primo quadro emerso dal voto di Palazzo Madama era ieri sotto gli occhi di tutti, sul tabellone elettronico dove, tra lucine verdi e rosse, spiccava un piccolo bouquet di luci bianche. La «non autosufficienza» della maggioranza e la «profferta» di un aiuto. Lesperienza del senatore Andreotti, il suo «non possumus» coperto dallastensione dellUdc, è stato un richiamo alla realtà: una politica estera meno filo-atlantica e più europea? Non ci sono i numeri. Forzare la mano sulle «unioni di fatto»? I numeri non ci sono. Ma si può fare altro.
Si parte da qui, per affrontare le tappe di questo «gioco delloca» della crisi. La prima casella è stata raggiunta dal Quirinale che, non rinviando immediatamente Prodi alle Camere, ha sottolineato che non si può continuare «come se nulla fosse successo». Il capo dello Stato chiede una stabilità di governo concreta e non «liquida»: le consultazioni serviranno a mettere i paletti di un recinto non più valicabile. Basta alle richieste di «visibilità», ai tira-e-molla di frange marginali. Sono in grado i partiti della sinistra radicale da un lato, quelli moderati dallaltro, di garantirlo? I numeri al Senato non consentono illusioni: lUnione può contare su 150 voti stabili e una decina di voti «liquidi» (tra dissidenti di vario tipo e senatori a vita). In termini politici, oltreché tecnici, si tratta ormai di una minoranza.
Ciononostante è probabile che la seconda tappa di Napolitano sia il rinvio di Prodi alle Camere per un nuovo voto di fiducia. Ma a patto che si raggiunga un «allargamento». Leventuale promessa da parte di Rifondazione-Pdci-Verdi di tenere a bada i propri esponenti esporrebbe il «Prodi-fotocopia» a nuovi rischi e la stessa sinistra radicale a snaturare troppo la propria identità. Non sembra praticabile, ed è per questo che lUdc di Casini ha voluto segnalare, nel voto, la sua disponibilità a una «tregua» e al confronto a tutto campo. «Non sarebbe credibile un governo che imbarchi Casini», è laltolà della sinistra radicale, molto più disponibile a verificare «tutte le altre soluzioni possibili in un quadro compatibile». Fuori dal politichese, lipotesi giudicata «interessante» è lingresso di Marco Follini con un eventuale gruppetto di centristi (non più di cinque, in ogni caso). Follini ha già parlato di «nuovo centrosinistra», e per un suo eventuale ingresso al governo la sua prima richiesta è quella di «un sostanziale cambiamento degli indirizzi strategici, ossia liberarsi della logica che ha contraddistinto la campagna elettorale». In soldoni, «buttare via il programma dellUnione». Ipotesi percorribile per la sinistra radicale? Magari sì, fissando «alcune priorità del nostro programma e concentrandosi su di esse», si dice negli ambienti di Prc. La porta dunque non è chiusa. Per Prodi potrebbe essere una soluzione, anche se questo significherebbe uscire dallalveo del Prodi due e sperimentare un Prodi ter. Con rimescolamento di alcuni ministeri, a cominciare da quello degli Esteri, visto che DAlema sembra intenzionato a tener fede alle sue dichiarazioni.
Se queste due tappe si dimostreranno impraticabili per concedere un po dossigeno alla (ex) maggioranza, il Quirinale è pronto a muoversi a 360 gradi, visto che «il tempo per fare le elezioni prima dellestate cè».
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