«L’Unità» ha perso il senso della misura

Caro Granzotto, mi capita frequentemente di sentire nell’ufficio dove lavoro, i commenti di non pochi miei colleghi di sinistra-sinistra, grandi lettori della «Repubblica» e fedeli sostenitori di Santoro, la cui trasmissione, «Annozero», viene appassionatamente commentata l’indomani della sua andata in onda, con le seguenti frasi. «Ma cosa fa l’opposizione?» oppure «siamo al regime». Credo stia a dimostrare che il governo-ombra non soddisfi e che si preferirebbe un’opposizione dura e pura, aggressiva e negativa in ogni occasione, senza la quale il popolo della sinistra, almeno a giudicare dal microcosmo rappresentato dall’ente statale dove lavoro, si sente orfana.


Proprio così, caro Cerreto: anche fra i più disciplinati veltroniani c’è chi mordicchia il freno per questa opposizione «soft», istituzionale e dialogante (che a conti fatti fa un gran bene al Paese e dunque ne hanno da guadagnare anche gli oppositori). Sessant’anni di contrapposizione conflittuale, «di lotta», di urla, strepiti e di ricorso alla piazza, hanno evidentemente lasciato un segno profondo negli animi della così detta base. Ma, nel contempo, sembra abbiano sclerotizzato le centrali ideologiche, quale ad esempio l’Unità dal bel fascione rosso. Mercoledì scorso, giunto al termine del mattutino rito della lettura dei giornali - e l’Unità è sempre l’ultima che leggo, perché mi mette di buon umore - non riuscii a dominare l’entusiasmo. Il quotidiano che fu di Gramsci e che si dice sarà della Concita De Gregorio (auguri) sparava in prima pagina ’sto po’po’ di titolone: «Il governo si spacca davanti al mondo». Capisce, caro Cerreto? Non davanti all’Umbria o all’Abruzzo, nemmeno davanti all’Italia e neppure all’Europa. Davanti al mondo. Una critica così bislacca, di sapore dadaista e, nella sostanza, incommensurabilmente fessa, non s’era mai udita prima. Nemmeno nei digrignanti anni Cinquanta. La spaccatura - che stando ai fatti si riduce a una screpolatura - sarebbe quella verificatasi nella maggioranza sul reato di clandestinità. Il mondo, invece, sarebbe il mondo: schierato in unica fila, le braccia conserte, la fronte aggrottata e l’espressione di rimprovero per l’indecoroso spettacolo di una maggioranza che invece di spaccarsi in qualche recondito anfratto delle Madonie ti si va a spaccare in luogo aperto e visibile dai quattro angoli del globo, isole comprese. E ciò proprio mentre qualcosa come sei miliardi di paia di occhi erano puntati lì, fissi sul governo.
Siccome io non credo, caro Cerretto, che alla meglio intellighenzia di sinistra sia improvvisamente seccata la vena dialettica, da sempre temibile per fulmineità, padronanza degli argomenti e precisione balistica nell’indirizzare l’invettiva, alla luce del titolone di cui sopra si deve dedurre che all’Unità sono ancora sotto choc per la batosta elettorale.

E che, alle prese con il canonico «franco e approfondito esame» per chiarirsi le ragioni di una botta che avrebbe fatto stramazzare un toro, hanno mollato i freni inibitori perdendo non solo il senso della misura, ma anche quello del ridicolo. Insomma, negli avamposti della sinistra sembra imperversare, per dirla nel lessico familiare, un’epidemia di stupidera. Credono di fare opposizione, ma fanno cabaret.

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