Per l’Unità i lettori non sono tutti uguali

SENZA VOLTO Per il foglio degli anti Cav la gente semplice serve solo a riempire le piazze

Per l’Unità i lettori non sono tutti uguali

Ah, il fascino del vip. Di fronte a giganti come Ascanio Celestini, Dario Fo, Paolo Hendel e Moni Ovadia anche l’egualitarismo propugnato dalla sinistra in generale, e dall’Unità in particolare, finisce in cantina. Ieri il quotidiano diretto da Concita De Gregorio allegava un inserto contenente le 120mila firme raccolte in favore della scuola pubblica «dopo l’attacco del presidente del Consiglio agli insegnanti». Un inserto fortemente sconsigliato dagli oculisti. Infatti la maggioranza dei nomi è stampata in corpo tipografico uno. Così minuscolo da essere quasi impercettibile a occhio nudo. Più in là non si può andare, il passo successivo è il Braille. Al fine di consultare l’elenco è necessario munirsi di lampada flessibile a luce fredda con lente d’ingrandimento. Consigliata agli ipovedenti.
La carta costa, bisogna risparmiare, quindi la scelta del giornale fondato da Gramsci risponde soprattutto a interessi economici. Però è inevitabile notare che non tutte le firme hanno ottenuto lo stesso trattamento. Ce ne sono alcune in corpo maggiore, e inchiostrate di rosso, affinché meglio risaltino in mezzo alla massa nera e uniforme. Non sono state scelte a caso, democraticamente. Sono le firme dei soliti noti. Dei famosi, nettamente distinti dai non famosi, proprio come nell’Isola condotta da Simona Ventura. Ecco quindi spiccare sopra il popolo ridotto a invisibile plebe: editori, scrittori, filosofi, critici, registi, attori, musicisti, giornalisti, politici, giudici.
Può l’adesione di Roberto Vecchioni, recente vincitore del Festival di Sanremo con una canzone zeppa di luoghi comuni impegnati, valere quanto quella di un Pinco Pallino qualsiasi? Giammai, Vecchioni è famoso, Pinco Pallino è non famoso. Almeno Vecchioni ha fatto il professore, non si sa con quale soddisfazione dei suoi studenti. Ma quale autorevolezza può vantare Ivan Scalfarotto rispetto al già citato Pinco Pallino? A occhio (è il caso di dirlo) nessuna. Perché Pinco Pallino è in nero, mentre Bandabardò, Stefano Bollani, Pino Cacucci, Rossana Campo, Raffaele Cantone, Franco Cassano, Vincenzo Cerami, Vincenzo Consolo, Emma Dante e altri si meritano invece un bel rosso? Perché Pinco Pallino sparisce nella folla mentre Aldo Nove, Luca Formenton, Giancarlo De Cataldo, Valerio Evangelisti, Goffredo Fofi, Paolo Fresu, Valeria Parrella svettano? Non c’è motivo, se non l’ammirazione per le «star» del mondo della cultura alle quali è affidato il residuo senso di superiorità antropologica della sinistra: i cervelloni stanno dalla nostra parte, quindi abbiamo ragione, come sempre. Non viene mai loro il sospetto che i cervelloni siano solo sedicenti tali, e che talvolta (anzi: spesso) anche i filosofi sparino boiate allucinanti se interpellati sulle questioni, quasi tutte, che esulano dalle loro competenze. I cervelloni, d’altro canto, stanno volentieri al gioco per i motivi più disparati: per provare il brivido della protesta, per illudersi di guidarla, per adulare i politici, per essere adulati dai politici, per fare pubblicità a se stessi, al nuovo disco, al nuovo libro, al nuovo spettacolo, al nuovo film. C’è sempre qualcosa da promuovere e alle regole del mercato sottostanno anche e forse soprattutto quelli che sostengono di disprezzarle.
Al vip, quindi, la sinistra usa tutti i riguardi. Del resto, la lotta di classe non è più all’ordine del giorno. L’uguaglianza è solo una bandiera da sventolare quando occorre e da riporre nella vita di tutti i giorni.

La sinistra in realtà ama la grande borghesia e i suoi intrattenitori, purché a parole anticapitalisti, e si tiene alla larga dalla volgarità della gente, schiava delle televisioni commerciali. I cittadini comuni sono Pinco Pallino senza volto; sono la massa da portare in piazza; sono una lista illeggibile di nomi in corpo uno.

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