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L’«Unità» lancia l’allarme: gli operai votano centrodestra

Ricerca Swg sul quotidiano dei Ds: al Nord i ceti popolari scelgono la Cdl, insegnanti e impiegati l’Unione

Vincenzo Pricolo

da Milano

Gli operai del Nord votano in maggioranza per il centrodestra e nell’Unione suona l’allarme. Tutto normale, si direbbe. Perché in Italia la sinistra mai ha avuto l’egemonia sulle scelte politiche delle «tute blu». E perché dopo ogni elezione nella stessa sinistra c’è qualcuno che vorrebbe costringere qualcun altro a fare autocritica per aver trascurato un «pezzo di società», per aver lasciato all’avversario il monopolio della tale «parola d’ordine» o il tal altro «messaggio forte».
La Cina fa paura. La novità sta nel fatto che alle politiche di aprile il voto degli operai (e dei pensionati e dei disoccupati) per la Casa delle libertà avrebbe in buona parte determinato il cattivo risultato del centrosinistra nel Nord. Una novità particolarmente amara per i Ds, visto che l’Unità ieri ha pubblicato con grande risalto l’anticipazione di un’indagine condotta dalla Swg che insieme con l’Ires (l’istituto di ricerca della Cgil) sta realizzando un’indagine più ampia i cui risultati saranno disponibili a settembre. Insomma, la questione settentrionale non sarebbe originata solo dalla scarsa simpatia di imprenditori e artigiani per l’Unione ma anche dall’altrettanto scarsa fiducia verso Romano Prodi nutrita dai loro dipendenti, che secondo Agostino Megale, il presidente dell’Ires «temono più la Cina che la precarietà».
Operai ma non solo. Al di là dei picchi indicati nella tabella, il dato che colpisce maggiormente è la prevalenza nel Nord del voto al centrodestra rispetto a quello per il centrosinistra fra gli operai (45,7 e 37,5), i pensionati (48,9 e 36,1) e i disoccupati (42,7 e 38,8). L’Unità riconosce che la tendenza del voto operaio «non nasce ora, si potrebbe dire che è l’evoluzione del voto democristiano». Però la sua riconferma, osserva ancora il quotidiano fondato da Antonio Gramsci, «diventa un nodo da sciogliere non solo per il centrosinistra ma anche per il sindacato». Nonostante le politiche del lavoro del passato governo e «l’elogio della flessibilità portata alle estreme conseguenze», dunque, l’operaio del Nord ha scelto ancora il centrodestra. Stessa cosa per i pensionati, «nonostante la beffa delle pensioni a un milione al mese»; e per i disoccupati, che «hanno scelto a maggioranza la destra in tutto il Paese».
I precedenti. Due esempi per tutti. Nell’agosto del 1980 «Lotta comunista» sbeffeggiava il Pci per i risultati elettorali non proprio esaltanti nel campione costituito dalle dieci province a maggiore concentrazione operaia. Negli anni Settanta a Varese, Bergamo, Como, Torino, Brescia, Vicenza, Novara, Vercelli, Treviso e Pordenone il partito guidato da Enrico Berlinguer «vantava» infatti percentuali inferiori al dato nazionale di 4/6 punti. «Se poniamo uguale a 100 il totale dei voti Pci a livello italiano, il totale dei dipendenti dell’industria e il totale della popolazione attiva - si legge in un documento di “Lotta comunista” - per il campione considerato risulta che i voti Pci sono il 13,6% dei voti Pci nazionali mentre gli operai del campione sono il 23,5% degli operai italiani e gli attivi il 16,4% della popolazione attiva italiana».


Nel 1996, invece, era Rifondazione comunista che nell’analisi del voto politico diceva che «il dato imbarazzante per la sinistra e soprattutto per noi comunisti è che la Lega è il primo partito tra gli operai del Nord».

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