Lo chiamarono «erotismo indigeno». Eravamo sul finire degli anni Settanta. In piena contestazione, dunque. E, parallelamente, in piena rivoluzione dei costumi. Fu allora che, con il film Grazie zia (1968), Salvatore Samperi impugnò le redini di una carovana pronta a fuggire dal perbenismo e dai desideri repressi. Per farlo, si utilizzarono non i muscoli di focosi destrieri, bensì le gambe (e tutto il resto) di belle donne come Lisa Gastoni e, poi, Laura Antonelli. Samperi, morto ieri a Roma, in quel movimento si era gettato anima e corpo, dopo aver abbandonato gli studi allUniversità di Padova, dovera nato il 26 luglio del 1944. E nel suo cinema non mise soltanto le grazie di appetitose signore, ma anche (soprattutto) una satira amara della società, andando a indagare fra le pieghe del comune senso del pudore e dellonore. Un cinema antiborghese, dunque, come confermarono, in rapida sequenza, Cuore di mamma (69) e Uccidete il vitello grasso (70). Opere che non ebbero molto successo, nonostante le colonne sonore portassero la firma di un autentico fuoriclasse come Ennio Morricone.
Vennero poi pellicole di secondo piano, in cui una sorta di riflusso anti (o almeno post) contestatario come Unanguilla da 300 milioni e Beati i ricchi non sortirono grandi effetti né di pubblico, né di critica. Ma Samperi aveva evidentemente in serbo il colpo vincente, che porta la data del 1973. La Laura Antonelli che sale una scaletta mostrando il ben di Dio di cui era dotata resta ancor oggi unicona della storia del cinema. E al titolo, Malizia, bastava appunto una parola per scardinare le voglie di crogiolarsi nel turbamento di un pubblico non composto soltanto da ragazzini in tempesta ormonale.
Nella Sicilia del 1950, ad Acireale, una modesta cameriera (la Antonelli, appunto), grazie al fascino ben più carnale che spirituale esercitato su ogni interlocutore (chiamiamolo così...) diventa diventa una signora altolocata. Grandissimo, e non certo sorprendente, il successo al botteghino. E grandissima la successiva popolarità della bellissima Laura.
«Eravamo molto amici, amici di sangue, di quelli a cui non occorre parlare».
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