L’uomo che vuole strappare la Rete

Lo scrittore Lee Siegel in un saggio muove una critica radicale a Internet: è la culla dei peggiori istinti

«E invece Lee Siegel è bravo, brillante e spiritoso! Beccatevi questo, immaturi fifoni ingiuriosi!». È andata così: all’inizio del 2006 il blog di Lee Siegel era tra i più autorevoli sul sito di The New Republic, storico periodico statunitense. A un certo punto in mezzo ai commentatori sbuca un anonimo che - firmandosi Sprezzatura - tiene la parte di Siegel in una contesa dove molti altri (anonimi pure loro) lo attaccano o lo fanno oggetto di insinuazioni agghiaccianti. Gli danno, per esempio, del pedofilo. Sprezzatura perde la pazienza e replica con frasi come quella riportata. Il blog si trasforma in una ingovernabile giungla di bassezze e la redazione di The New Republic promuove un’indagine interna. Si scopre che il difensore di Siegel dietro Sprezzatura è Siegel stesso. Apologia pubblica della testata, chiusura del blog e sospensione del giornalista, reintegrato un anno più tardi.
È ora uscito in America Against the Machine: Being Human in the Age of the Electronic Mob (Spiegel & Grau, pagg. 184, dollari 22,95), dove Lee Siegel lancia a Internet - quello dei blog, delle community, dei social network - una critica radicale: sarebbe il luogo dove solitudine, narcisismo, esibizionismo, scrittura confessionale e pseudoterapeutica hanno trovato un ambiente adatto in cui propagarsi, corrompendo la realtà carnale e umana dell’incontro, e con essa molti sentimenti faticosi ma formativi, come il pudore, la fiducia, l’onore della parola data. «In nessun’altra epoca - scrive Siegel - l’uomo è vissuto così tanto dentro la propria testa e così poco nel mondo. Il collasso della famiglia e la propensione a vivere da soli appartengono a questa deriva». Internet non sarebbe un luogo dove circolano virus, piuttosto è il virus.
Catarsi? Rancore dopo il fattaccio di The New Republic? Oppure sentita meditazione? Essendo Lee Siegel scrittore di libri ragguardevoli - premiato nel 2002 con il National Magazine Award per «il pensiero appassionato e di alto livello» e definito dal New York Times «uno dei più eloquenti e sferzanti critici d’America» - e avendoci conversato insieme, siamo più vicini all’ipotesi che la vanità ferita non c’entri, e che l’autore sia stato mosso dall’esigenza che imprevisto e verecondia tornino ad essere i tratti principali dell’esistenza. E su Internet non ci sono né l’uno né l’altra. Tutto nasce sul web già vecchio e obbediente alle leggi interiorizzate del marketing. Vi si trovano soltanto «opinioni» che si commentano reciprocamente in un vacuo infinito chiacchiericcio: impossibile un contatto profondo con l’altro o una profonda resistenza da parte sua.
«Ben detto!» commenta Siegel quando gli diciamo che a navigare troppo si sente la carezza dell’autismo sulla mente. «Su Internet siamo tutti punti di collegamento isolati. Ma la vita è contesto, la storia è contesto. La sola vera “rete” è la rete di inflessioni, sfumature e significati intuiti, la multiforme percezione di un’altra persona che rileviamo attraverso il suo aspetto fisico e la sua voce. Il web sostituisce questa vera rete. Se un tiranno volesse una tecnologia per dividere e conquistare un popolo, atrofizzarne la muscolatura spirituale, non potrebbe trovarne una migliore di Internet. Il web ci ha rubato la vera solitudine e ci ha reso tutti soli, con altre persone, però, che sono in realtà fantasmi sullo schermo».
Anche le parole appaiono fantasmatiche quando brillano in quella cassa di isolamento sensoriale che sono gli schermi: tanto diverse dalla scrittura vera quanto la pipa di Magritte da una vera pipa. Parole né presenti né assenti: stanno in un file. Una realtà virtuale del pensiero. Il rischio è che si finisca - davvero impercettibilmente - col rapportarsi al prossimo nello stesso modo. «Proprio così - ci risponde Siegel -. Lavoro e amore procederebbero lo stesso senza Internet. Internet fa un’unica grande differenza. Ogni cosa funziona più veloce ed efficiente. Più convenientemente. Ed è finita che abbiamo sempre il dito sul grilletto, cioè sul mouse: clicchiamo su altre persone. Le mercifichiamo, portandole nel campo di forza dei nostri desideri». Ma sono loro che vogliono essere cliccate! Siegel ci fa allora la distinzione tra «cultura popolare» (dove ci si abbraccia o ci si odia) e «cultura della popolarità» (dove ci si clicca): quest’ultima è il «grado Xerox» del desiderio, una promiscuità uniforme.
«Succede perché la nostra situazione individuale in quel caotico mare di “libertà” che è il web ci pare troppo incerta per essere libera. Pertanto copiamo le voci più forti, le auto-presentazioni più assertive». Nemmeno la politica ne è rimasta immune: su Internet la democrazia ha raggiunto la massa critica. «In America la Rete è diventata una proiezione della vera democrazia, che si sta restringendo. Accade in Rete un “egualitarismo antidemocratico” in cui valori come l’“accesso”, la trasparenza, la libera espressione hanno l’effetto di pervertire i principi della democrazia. L’ideologia dell’accesso ha fatto del merito una responsabilità sociale. La mania della trasparenza ha reso l’autorità legittima timorosa di operare. Il culto smisurato della “libera espressione” ha consentito a teppisti mediocri di affogare voci autentiche».
Per i sentimenti va anche peggio. Incontri una ragazza, ti piace, e hai la malsana idea di mettere il suo nome in Google: dal suo blog sai a quanti anni ha perso la verginità e come ha vissuto le storie precedenti, su Flickr vedi le foto delle sue vacanze e gli autoscatti non proprio originali ma ricalcati su un immaginario da telefilm, su Twitter segui i suoi sgrammaticati malumori minuto per minuto. Senza nemmeno incontrarla la seconda volta sai già troppo di lei o di come vuole essere vista. Fantasia, attesa, ricerca di una spiazzante ma gioiosa intimità: tutto già finito.
Mr Siegel, è il caso di intitolare il prossimo saggio «Internet o la scomparsa del mistero femminile»? «Non avrei saputo trovare titolo migliore. Col web finiamo per avere un sacco di “informazioni” su un individuo senza conoscerlo. Ma le persone sono più della somma dei fatti che le riguardano. Internet le trasforma in prodotti, i cui ingredienti sono indicati su di esse. Una gigantesca auto-finzione spettacolare. Già in passato ci siamo persi nella fantasia vicaria di guardare gli attori su uno schermo. Internet ci consente di abitare direttamente le nostre fantasie. Non abbiamo più bisogno di distrarci con le finzioni di un artista. Possiamo divertirci a creare le nostre stesse bugie».


Resta una curiosità: che cosa pensare di quanto accaduto sul blog di Siegel nel 2006? «Ho utilizzato la convenzione maligna dell’anonimato per protestare contro quello che ho chiamato “blogofascismo”. Considero l’anonimato una convenzione distruttiva: ci riporta tutti ai giochi dell’infanzia. Oggi rifarei la stessa cosa. Anziché Sprezzatura, mi chiamerei Chiaroscuro».

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