L’uomo misterioso che «inventò» la Madonnina

D ietro la Madonnina si nasconde un delitto mediatico. Quello che per tre secoli ha oscurato, oggi diremmo censurato, l’architetto che disegnò e fece erigere la guglia simbolo del Duomo di Milano che sorregge la sacra statua d’oro che tutti guardano col naso all’insù. Questa vittima della Storia porta il nome di Francesco Croce, l’architetto milanese «inghiottito dalla nebbia» senza che ancora oggi né una targa né un’insegna ricordino colui che alla metà del Settecento seppe risolvere la grande incompiuta del Duomo con un guizzo d’ingegno: un pinnacolo centrale più grande di tutti gli altri in grado di dare all’intera struttura architettonica un elemento di raccordo ed armonia. Ma da allora su di lui sembrò abbattersi una sorta di maledizione, un complotto che ne fece prima il capro espiatorio delle nuove mode neoclassiciste sviluppatesi in Europa e in America alla fine del diciottesimo secolo, e poi lo fece cadere definitivamente nel dimenticatoio con il marchio di «passatista». Un marchio infamante per un architetto di qualsiasi epoca. Oggi a Croce, che pagò a caro prezzo lo scotto di essersi trovato al posto giusto nel momento sbagliato, un ingegnere milanese, Marco Castelli, ha deciso di restituire gli onori dovuti con un libro e un convegno organizzato mercoledì 28 (dalle 14 alle 19) al Museo del Duomo dalla Fondazione Collegio Ingegneri e Architetti di Milano, in collaborazione con la Veneranda Fabbrica e la Fondazione «Corriere della sera». Il volume, edito da Ares e dal titolo emblematico di Il caso Croce - Un delitto mediatico all'ombra della Madonnina (pp. 128, euro 15), ripercorre tutte le tappe di questo antico giallo milanese.
Ma per ricostruirlo occorre risalire alla nascita della Fabbrica del Duomo, la cattedrale bianca che nelle intenzioni di Gian Galeazzo Visconti, avrebbe dovuto essere l’icona dei fasti di corte. Ci vollero quattro secoli per realizzarla. Eppure, anche se tutti riconoscono nel Duomo un capolavoro di ingegneria e dell’arte tout court, ancora oggi attorno alla sua storia aleggiano dubbi e incongruenze che sono fonte continua di spunti per romanzi e ricerche. Come, appunto, il “caso Croce”. Autore della Rotonda della Besana e della facciata di Palazzo Sormani, Francesco Croce, meneghino doc, classe 1696, era l’ultimo esponente del “barocchetto” lombardo. Assunto come architetto del Duomo, nel 1762 (a 69 anni) fu chiamato alla realizzazione della guglia, che terminò nel 1771. Nel segno della leggerezza e della resistenza, elaborò un progetto che non somigliava affatto alle cuspidi della tradizione gotica, e che per dimensioni, tecniche e soluzioni (come l’uso di giunti in ferro che “anticipavano” il moderno concetto del cemento armato), aveva ben pochi precedenti nella storia dell’arte. Perché dunque nessuno lo ricorda? A chiederselo è un comune cittadino, Marco Castelli, che visitando il Museo del Duomo e sfogliando alcune guide di Milano, si era stupito dell’assenza di riferimenti chiari sul vertiginoso pinnacolo: e non parliamo di un’opera marginale, ma di 600 tonnellate e 40 metri di marmo che gravano su una cupola, fino a toccare in uno slancio verticale i 104 metri di altezza. Un’opera grandiosa insomma, che non poteva passare inosservata. Da qui iniziò la sua ricerca, rovistando tra archivi, biblioteche, documenti del tempo e testi di studiosi contemporanei; fino alla soluzione dell’enigma: l’architetto, secondo Castelli, sarebbe stato vittima di un «complotto illuminista» che per anni lo ha volontariamente nascosto e oscurato. «Mentre Croce era impegnato con la guglia - spiega Castelli - era in corso una lotta di potere fra Chiesa e mondo “laico”, ispirato alla sovranità illuminata di Maria Teresa e del figlio Giuseppe II». Che, sul piano artistico, vide contrapporsi i fautori della tradizione barocca da una parte e quelli dell’emergente gusto neoclassico dall’altra: in prima fila i fratelli Verri - che definirono la guglia «ridicola e bestiale» - e lo scienziato Paolo Frisi (autore di un progetto precedente, poi abbandonato) che avversò la cuspide «rea» di attirare tutti i fulmini della pianura padana. Secondo Castelli quindi, fu una polemica ideologica, prima che estetica, a oscurare il padre della guglia, al punto che tuttora il suo nome è assente, o risulta malapena citato, persino nei manuali di riferimento. Addirittura la «Guida di Milano» scritta nel 1787 da Carlo Bianconi, allora direttore dell'Accademia di Brera e fervente neoclassicista, non solo non cita Croce, ma pubblica l’incisione del progetto precedente, quello del Buzzi, mai realizzato.

Per rimediare, l’autore propone un gesto di tardivo riconoscimento: intitolare a Croce una via di Milano. Quella che, correndo su un lato di Palazzo Reale, inquadra proprio la guglia maggiore e, sulla cima, la dorata Madunina.

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