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"L’uomo è ormai molto potente ma ha perso il senso della misura"

La "creazione" del cromosoma vista con gli occhi del filosofo Giovanni Reale: "È inutile porre limiti alla scienza. Quello che mi preoccupa è invece la mancanza di spessore umano. Serve una coscienza etica diffusa"

Milano - Su un tema così complesso, e che genera sconcerto, come la «creazione» della vita artificiale, sorgono moltissimi dubbi. Soprattutto di carattere etico. Una necessità di risposte che siano più filosofiche che scientifiche. Come quelle che può dare il professor Giovanni Reale, una delle colonne portanti della filosofia morale e della storia della filosofia italiana. Sulla scoperta in sé il professore non dà giudizi di merito, si pone in modo non dogmatico. «Come di fronte a ogni grandiosa scoperta umana si può dire tutto e il suo contrario. A mio modo di vedere il problema è che l’uomo è cresciuto in potenza ma non nel suo spessore etico. Ho paura della mancanza di spessore umano... manca la misura interiore».

Dunque lei non vede nella scoperta in sé un pericolo, una violazione dei confini della natura...
«Questa scoperta non rende l’uomo creatore della vita, ma solo scopritore delle sue leggi. La scienza scopre solo le cause collaterali delle cose, non la causa ultima. Le scoperte della scienza, per quanto strepitose e ammirevoli, sono sempre e solo scoperte di concause, la causa ultima, le risposte esistenziali - Io chi sono? Dove vado? Perché ci vado? - sono fuori dal suo ambito... E rimangono. La scienza qui si ferma».

E quindi?
«È un errore sacralizzare le scienze particolari. Perché? Ma perché sono particolare, per riprendere una distinzione di Aristotele sono diverse dalla metafisica, la scienza del significato, quella che può aiutare a guidare le scelte dell’uomo. Le prime ci danno solo strumenti usabili bene o male. Esattamente come questo cromosoma che può essere usato bene o male».

Intende dire che i nostri dilemmi e le nostre paure dipendono dalla mancanza di risposte etiche, non dallo sviluppo-scientifico tecnico?
«I filosofi sono nella crisi più spaventosa, tutti incanalati in forme di filosofia metodologica, attente alla forma ma che tralasciano i contenuti. I contenuti vanno invece ripensati per dare risposte alle persone, soprattutto ai giovani. E in fondo le strade sono due: la fede o il ripensamento dei classici greci con le loro idee forti politicamente non compromesse...».

Come vede la possibilità di intervenire sulla scienza attraverso le leggi, i divieti...
«Secondo me è poco utile l’intervento di divieto su singoli punti, il tentativo di porre limiti dall’alto... Serve una coscienza etica diffusa.

Insegnare alle persone quello che Marco Aurelio chiamava il “mestiere di uomo”. È per fare quello che dobbiamo svegliarci la mattina, è l’unico modo di ritrovare quello che per i filosofi greci era il bene supremo, l’equilibrio la misura. È un concetto antico da recuperare».

Ma come si fa a ricostruire una coscienza etica, sfuggendo al silenzio della filosofia?
«Platone chiamava tutti i suoi capolavori “sublimi giochi“, nel senso alto della parola, considerava veramente importante solo la sua “scuola”. Quel contatto umano che gli consentiva di scrivere negli animi degli uomini».
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