Una lacrima sul viso della musica Se ne va l’inventore dei cantautori

Fu il primo a capire che la musica americana è stata la vera rivoluzione culturale, «dai grandi e talvolta fraintesi risultati». Da uomo che sapeva vedere lontano inventò l’industria musicale italiana e da manager illuminato inventò i cantautori. Vincenzo Micocci, il «dottor Micocci» per De Gregori, Venditti, Ron, la Mannoia, Rino Gaetano; «Enzo» per Dalla e Rascel; «maestro» per Ivan Graziani; semplicemente «dottor» per Tenco, Endrigo e tanti altri che ha contribuito a scoprire e lanciare. Se n’è andato a 82 anni Micocci, lasciandoci come eredità collettiva un pezzo importante della storia musicale moderna. L’anno scorso è uscita la sua autobiografia, Vincenzo io t’ammazzerò (da un verso della canzone-invettiva scritta contro di lui da Alberto Fortis) che racconta la vita da film del personaggio amante del jazz (frequentò Louis Armstrong e fece incidere i migliori jazzmen italiani), partito con la Nilla Pizzi sanremese de L’edera e, dopo una lunga militanza alla Rca e alla Ricordi, scopritore con la sua It di giganti del cantautorato come Venditti, De Gregori, Zero, la Mannoia, Paola Turci, Sergio Cammariere.
Tutto ciò che ha toccato Micocci s’è trasformato in oro. Sentì cantare Bobby Solo («si chiamava Satti, divenne Solo perché il padre, ex trasvolatore con Italo Balbo, non voleva che facesse il cantante usando il vero cognome», ricordava Micocci)e rimase folgorato dalla sua voce alla Elvis, lo lanciò a Sanremo con una Lacrima sul viso (facendolo cantare - per la prima volta in Italia - in playback perché aveva la laringite), portandolo al trionfo e al milione di copie vendute. Cifre da capogiro insomma. Talent scout, imprenditore, operatore culturale e anche coraggioso sperimentatore, un giorno s’inventò la parola «cantautore». Tra i suoi primi esperimenti brani di Edoardo Vianello come Il capello (ora fa sorridere, ma all’epoca era una assoluta novità con quel testo sul tradimento) e Odio tutte le vecchie signore di Gianni Meccia. Fu questo brano che gli fece venire il dubbio - e l’illuminazione -; per Micocci la voce di Meccia non era quella di un cantante ma di «un autore di canzoni arrivato a Roma al seguito di quel gruppo di immigrati culturali che facevano capo a Modugno», scrive nell’autobiografia. Ci voleva una spiegazione. «Il meglio che mi venne fu di inserire il concetto della priorità dell’autore, e lì per lì mi venne fuori il termine “cantantautore”». Ma era cacofonico e con il produttore Ennio Melis si perfezionò il fortunato termine cantautore.
Dal 1970 la sua It sarà la Mecca del cantautore doc. Seguì Renato Zero nei suoi primi travestimenti e nelle sue prime elucubrazioni musicali, curò il debutto di Edoardo Bennato sempre accompagnato dalla mamma, coccolò giocando di spada e di fioretto il talento acerbo di Venditti e De Gregori. «Arrivarono con uno spirito rivoluzionario e sindacalista - ricorda Micocci - temevano di essere sfruttati ma io spiegai loro: ragazzi siete legati alle vendite dei dischi, se venderete, potrete farne altri e magari guadagnare un po’ di soldi». Li ha tenuti ai box per il tempo necessario Micocci, sicuro del loro talento ma altrettanto sicuro che lo stile di canto di De Gregori, personale e distaccato, non fosse pronto a colpire i sensi dell’ascoltatore.
«Confesso che mi sono fidato della mia sensibilità, che è sempre stata la bussola delle mie scelte», diceva. Una bussola che non ha mai perso la rotta e ha insegnato la strada a Rino Gaetano guidando anche storiche collaborazioni con Ennio Morricone, Luis Bacalov, Ornella Vanoni e l’elenco potrebbe continuare a lungo.

Modesto per natura, almeno un merito se lo attribuiva: «Grazie agli artisti che io e Melis abbiamo definito cantautori, è nata in Italia la canzone non più ispirata esclusivamente da una cultura filtrata dal salotto, ma piuttosto condizionata dai mutamenti della vita quotidiana, con la sua alternanza di scatti in avanti e fermate improvvise».

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