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La «lady di ferro» con il cuore in mano

La lacrima imprevista all’accettazione della candidatura non modifica la sua immagine pubblica di manager efficiente e signora elegante da sempre a fianco di chi soffre

Guido Mattioni

da Milano

Qualcosa è cambiato: una lacrima. Di più, una notizia. È successo ieri a Milano, a Palazzo Mezzanotte, sede della Borsa. Un luogo dove molto spesso, del resto, lacrime e notizie vanno di pari passo anche se quasi sempre in ordine inverso: ovvero prima le notizie e poi, come conseguenza, le lacrime. E che ieri la notizia non sarebbe stata certamente l’accettazione da parte di Letizia Moratti della candidatura a sindaco di Milano, era noto a tutti. Il fatto era scontato. Mancavano soltanto, a sancirlo, una data e una firma.
A diventare notizia, così, è stata quella goccia spuntata sull’occhio della signora al momento di pronunciare il suo «sì» con il capoluogo ambrosiano. Insomma, una imprevista lacrima di commozione. Imprevista - e quindi proprio per questo «notizia» - anzitutto agli occhi di chi, studenti, docenti e professionisti dei cortei, che unicamente per partito preso si sono opposti, si oppongono e prevedibilmente si opporranno alla riforma scolastica di quella che loro, nella migliore delle ipotesi, chiamano «Lady di ferro». Imprevista anche agli occhi dei tanti che hanno imparato invece ad apprezzarla proprio per quella sua filosofia molto meneghina del «tirem innanz», da Amatore Sciesa in tailleur di fronte all’ottusità di un plotone di esecuzione nostrano (non austriaco), occupatore di cervelli e caricato a insulti e pregiudizi.
Ma lacrima imprevista soprattutto per chi, con lei, ha avuto occasione di lavorare negli anni Settanta, quando era una giovane e determinata imprenditrice del brokeraggio riassicurativo. Perché nell’ambiente, ai tempi in cui Letizia assumeva la guida del gruppo Nikols per portarlo in pochi anni ai vertici nazionali del settore, si narrava molto delle frequenti crisi provocate dall’apparentemente fragile Lady in molti manager - maschi, adulti, grandi e grossi - che hanno avuto la ventura di affrontarla nei panni di capo. E se non sono state proprio crisi di pianto, di certo lo furono di rabbia.
Ma forse, aldilà di quella lacrima, di quel qualcosa che è cambiato ieri nell’immagine pubblica della signora, aldilà anche dell’accorato «ascolto il tuo cuore, Milano!» con cui donna Letizia ha siglato la sua lettera aperta alla città, è forse proprio in quella ben collaudata «grinta» che buona parte di Milano oggi spera. Anzi, attende e pretende: un matrimonio «che s’ha da fare» tra questa «Lei» di polso, figlia della buona società meneghina, e un «Lui» che nonostante la decisa e svecchiante gestione di Gabriele Albertini rimane ancora il pesante monolite burocratico di Palazzo Marino. Marmoreo nel corpo e nella mente.
Ora, quella buona parte di Milano si attende che questa signora cresciuta ed educata dalle elementari al liceo nel soffice rigore ambrosiano del Collegio delle fanciulle, affezionata alle stesse morbide e borghesissime acconciature così com’è fedele al rassicurante taglio Chanel dei tailleur, venga chiamata a portare nella macchina amministrativa cittadina le stesse capacità dimostrate prima nella sua veste di imprenditrice privata, poi in quella di manager pubblico ai vertici della Rai e infine in quella di ministro.
Piace anche, a quella stessa Milano, l’immagine privata di una donna affermata e dal patrimonio più che consistente che non si nega mai, quando riesce a fermarsi almeno per una sera nella sua casa, dove non manca certo il personale di servizio, all’impegno dei fornelli per preparare il suo piatto preferito (risotto, più milanese di così!) al marito Gianmarco, ai figli, e spesso anche agli amici.
Così come piace, di lei, il milanesissimo coeur in man, quell’impegno vissuto e ben noto, ma mai ostentato, per le attività di beneficenza a favore di chi soffre. Specie quello verso la comunità di recupero dei tossicodipendenti di San Patrignano, fondata da Vincenzo Muccioli e a cui tutta la famiglia Moratti dedica da anni tempo e denaro.

Un altruismo peraltro non recente, come rivelato proprio da questo ministro andato sempre diritto per la sua strada (quella della meritocrazia) quando ha sorprendentemente ammesso in un’intervista di essere stata «una scolara sì studiosa, ma di quelle che passavano sempre i compiti» e che amava «anche ballare e divertirsi».
E così quella Milano ora spera di sorridere. Partendo magari - perché qualcosa è cambiato - proprio da una lacrima.

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