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Lanciò la statuetta contro il Cavaliere: per i periti del gip è insano di mente

Semel in anno licet insanire, diceva Seneca. Una volta l’anno è lecito impazzire. Quel giorno, per Massimo Tartaglia, era il 13 dicembre 2009. L’uomo che ha lanciato una statuetta contro il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è stato dichiarato «incapace di intendere e di volere» dagli psichiatri incaricati dal gip di Milano nel processo con rito abbreviato in corso nel capoluogo lombardo. L’uomo deve rispondere di lesioni aggravate (la prognosi per il premier fu di 40 giorni): arrestato subito dopo l’aggressione, Tartaglia è stato in carcere per poche settimane e oggi è agli arresti domiciliari in una struttura terapeutica dove è seguito e curato. Giova ricordare che Berlusconi, nel processo, non si è neppure costituito parte civile. A questo punto l’esito del procedimento appare scontato: Tartaglia ingiudicabile perché insano di mente. L’aggressore del premier è probabilmente destinato a passare qualche anno nell’ospedale psichiatrico che lo ha in cura.
Sembra assurdo, ma chi aggredisce il premier, fisicamente o verbalmente, sembra destinato a farla franca. Non ha passato che un giorno in carcere anche Roberto Dal Bosco, il muratore mantovano che il 31 dicembre del 2004 colpì al volto il Cavaliere a piazza Navona a Roma. Arrestato e trasferito a Regina Coeli per una notte appena, Dal Bosco è stato condannato il 5 aprile dell’anno successivo con patteggiamento della pena per lesioni personali aggravate a quattro mesi di reclusione con sospensione condizionale. Interrogato, l’operaio lombardo prima disse di aver agito per «odio» contro il premier, poi corresse il tiro e disse di aver lanciato il cavalletto contro Berlusconi per fare una «bravata» e conquistarsi gli applausi dei suoi amici. Anche in quel caso il premier non sporse denuncia per querela.
Anche Pietro Ricca l’ha fatta franca. Un giudice di pace lo aveva condannato per gli insulti al premier durante la deposizione spontanea del Cavaliere al processo Imi-Sir. Ricca lo aveva apostrofato con il termine «buffone».

Termine che per la Cassazione, con sentenza del 7 giugno 2006, era sostanzialmente «una utile critica sociale».

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