Larghe intese, il leader Pd fa retromarcia

Il candidato democratico prima si dichiara disponibile a un esecutivo di responsabilità nazionale, poi smentisce: "Chi vince governa". Poi la sfida a d'Alema: "Resto alla guida del partito anche se perdiamo, è un dovere etico"

Larghe intese, il leader Pd fa retromarcia

Roma - Restare alla guida del Pd, anche in caso di sconfitta elettorale, per Walter Veltroni è «un dovere etico».

Il candidato premier lo spiega chiaro e tondo, ai microfoni di Sky Tg, al culmine di una giornata fitta di interviste, comizi e incontri con gli elettori ai gazebo del “D-Day” democratico. «Ho preso l’impegno per fare un grande partito, e continuerò ad assolvere al vincolo assunto il 14 ottobre con 3 milioni e mezzo di persone». Un impegno che «potrà essere considerato superato» solo da «una scadenza analoga», ossia nuove elezioni primarie altrettanto partecipate. Fino ad allora, manda a dire Veltroni ai maggiorenti del suo partito, nessuno pensi di commissariarlo o spodestarlo per vie traverse o convocando congressi, perché lui resterà a fare il suo «dovere etico».

Ma è un altro tema toccato da Veltroni a scuotere il mondo politico e a mobilitare i cronisti in questa tiepida domenica di fine marzo: in mattinata, il settimanale statunitense Newsweek anticipa due interviste parallele ai due sfidanti per la premiership in Italia. E una risposta del leader Pd rilancia l’ipotesi delle «larghe intese». La giornalista di Newsweek gli chiede se, nel caso di un testa a testa elettorale che renda incerta la maggioranza, lui sarebbe disponibile a «dividere il potere» con Berlusconi. E Veltroni replica ricordando di aver proposto un governo da sostenere «tutti insieme», subito dopo la caduta di Prodi, per fare le riforme istituzionali ed elettorali: Berlusconi si oppose, e ne «porta la responsabilità». E conclude: «If you are asking me if I would consider it again, I would say probably», «se mi chiede se lo riprenderei in considerazione, direi probabilmente».

È un sì a un eventuale governo di responsabilità nazionale? Qualcuno così la interpreta, e dalla sinistra radicale si comincia subito a sparare contro «la beffa dell’inciucio», mentre il ministro prodiano Parisi mette le mani avanti e dice che le riforme si possono fare «con Veltroni capo della maggioranza democratica e Berlusconi capo dell’opposizione democratica, o anche, al limite, l’opposto». E lo stesso leader del Pd si affretta a precisare: «Non esiste nessuna grande coalizione - scandisce - non esistono governi di larghe intese. Esiste la necessità di fare, con larghe intese, le riforme istituzionali».

Ai giornalisti che lo attendono al gazebo Pd di piazza Fiume a Roma, il candidato premier spiega che «chi vince governa, poi le riforme si fanno insieme, ma nessuna larga intesa, nessun inciucio. La mia è una idea anglosassone della democrazia ed è la differenza tra governo e riforme istituzionali». Cosa ben diversa dalle «larghe intese» per governare il Paese che, ribadisce Veltroni, «è un tema che non esiste».

Insiste anche da Sky: il governo lo fa chi vince, «anche di un solo voto», dunque «niente pasticci». Ma «sta all’intelligenza di tutti capire che servono le riforme».

Dall’altro fronte, il portavoce di Silvio Berlusconi usa gli stessi toni: «Non ci saranno intese né larghe né strette, non ci saranno coalizioni né grandi né piccole. Governerà chi vincerà, e tutti i dati indicano che il Pdl ha un netto e saldo vantaggio», dice Paolo Bonaiuti.

Veltroni, dal canto suo, assicura che «siamo in rimonta, e penso ci possa essere un esito sorprendente», perché «gli indecisi si stanno spostando verso il Pd». Attacca la «doppiezza di certi uomini politici», e senza nominare Berlusconi accusa: «Durante la discussione sulle riforme parlava di me come se fossi Giolitti. Ora che c’è la campagna elettorale dice quanto di peggio possibile. Io do giudizi politici, non personali». E per lui «l’Italia ha bisogno di una leadership responsabile e seria, di gente che non faccia le corna nelle foto coi capi di Stato». Ce n’è anche per Casini, che «se avesse avuto coraggio politico» avrebbe dovuto appoggiare il governo Marini. «Che ora dia lezioni di antiberlusconismo è singolare». Nomi per il suo governo ancora non ne fa, ma «saranno nuovi», al contrario di quelli del Pdl: «Tremonti, Bossi, Calderoli, Maroni: sono gli stessi del ’94. Io farò un governo del 2008».

L’ultima frecciata è per D’Alema, che definisce «moscio» lo slogan obamiano «Si può fare»: «Ognuno ha le sue opinioni, ma per migliaia di persone ha un effetto evocativo molto importante». E poi, «tutti i pubblicitari hanno detto che è stata una grande trovata».

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