Lavazza: «Io, ex patito della miscela a colazione preferisco la cremina»

«Il caffè è trasversale: lo amano tutti, come la Nazionale. E, anche se le macchine sono sempre più diffuse, è difficile che la moka possa scomparire: è troppo amata». Espresso e caffettiera - dice Giuseppe Lavazza, direttore marketing e membro del consiglio d’amministrazione dell’azienda di famiglia nata nel 1895 - corrispondono a due desideri diversi e quasi necessari per gli italiani.
Che cosa rappresenta il caffè della moka?
«È quello tipico dell’aria del mattino: se ne prepara di più, è più caldo. Molti sviluppano una vera tradizione culinaria, di famiglia: la caffettiera è uno strumento antico, al quale gli italiani sono molto affezionati».
E poi c’è l’espresso.
«La macchina è la promessa della tecnologia: quello del bar è un altro mito, ma preparare lo stesso caffè a casa propria non è facile, le variabili sono molte. Oggi noi produciamo le cialde: siamo alla terza generazione, quella rivolta non più solo agli uffici ma, anche, alle famiglie. Il vantaggio è la semplicità nell’uso, l’immediatezza: il caffè è perfetto, sempre uguale, ma un po’ più asettico. Non c’è neppure il rischio di sporcare il lavandino di polvere».
Lei quale sceglie?
«Non si possono sostituire: sono modalità di preparazione che si affiancano. Prima ero un patito del macinato, oggi comincio la giornata con due cialde di espresso dolce».
Qual è il momento del caffè?
«Sicuramente il mattino. Il risveglio, la colazione, il giornale: impensabili senza aver bevuto una tazza di caffè. E poi c’è l’appuntamento delle dieci, per una pausa, o delle due, dopo pranzo, a casa o al bar.

L’Italia è unica: nella tradizione della tazzina non la batte nessuno, con una dose media di 6,5 grammi di caffè ciascuno. Per gli stranieri è troppo “forte”, per noi è appagante e vellutato. L’importante è che sia abbastanza ristretto, con una crema consistente, e il tipico colore da tonaca monacale. E poi il profumo, inconfondibile».

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