Roma - Le formule di rito, del tipo «stanno smantellando lo stato sociale» non funzionano più. Non se le bevono nemmeno i militanti ultra ortodossi. Anche Cipputi, ormai, quando si tratta di soldi o di servizi sociali, prima di credere al partito o al sindacato di turno, prova a farsi due conti per capire cosa gliene viene o cosa gli viene tolto. Per fare al meglio il difficile mestiere dell’opposizione in tempo di crisi, meglio quindi alzare i toni, reinterpretare la realtà ed evocare l’apocalisse. L’importante è che la versione alternativa sia coerente con idee e pregiudizi; irrilevante l’aderenza alla realtà.
Caso di scuola è il famoso articolo 8 della manovra. Sarebbe una delle poche, se non l’unica, misura per la crescita contenuta nel decreto (che del resto serve ad anticipare il pareggio di bilancio) ma nel giorno dell’emendamento, che peraltro ne ha limitato la portata circoscrivendo possibili distorsioni, il messaggio passato è che il governo, dopo tanti tentativi, è riuscito nell’intento di colpire i lavoratori, intaccando l’articolo 18 dello Statuto. La possibilità, con il consenso dei sindacati nazionali, di prevedere nelle singole aziende in casi eccezionali e per un tempo limitato, delle deroghe alla norma che prevede il reintegro dei lavoratori licenziati senza giusta causa o giustificato motivo, diventa «libertà di licenziare». Oppure, nella versione hardcore della Cgil «l’annullamento dello Statuto dei lavoratori e della Costituzione». Leitmotiv poi rimbalzato nelle dichiarazioni di tutte le opposizioni - Pd e Idv in testa - con echi catastrofici su internet. Deriva comprensibile, se persino l’Udc, partito molto favorevole alla flessibilità nel lavoro, c’è chi ha stigmatizzato le «nuove normative sui licenziamenti». A difendere il significato della norma, la maggioranza, il giuslavorista Michele Tiraboschi e il ministro Maurizio Sacconi.
Comprensibile che siano tutti saliti sul carro della Cgil. Anche perché la caccia alla misura-scandalo non ha dato buoni esiti. Ci avevano provato con la riorganizzazione degli uffici giudiziari. Quando la norma era ancora in embrione, la sinistra e il Terzo polo avevano già emesso il verdetto: «Qui si cancellano i Pubblici ministeri». Non era la razionalizzazione della giustizia che ieri persino l’Anm ha promosso a metà (giusto ridisegnare le circoscrizioni, no all’accorpamento delle procure).
Materie tecniche, quelle trattate nelle manovre. La prudenza, visto che si tratta di materie sensibili anche per i mercati finanziari, suggerirebbe di andarci piano con le cifre, soprattutto quando non ci sono tabelle né provvedimenti bollinati dalla Ragioneria. Ma è proprio sui miliardi che si è scatenata una delle offensive delle opposizioni. In particolare dopo il vertice di Arcore, quando il governo ha depennato il contributo di solidarietà. La cifra da coprire, secondo stampa ed esponenti della sinistra, andava da 5 a 7 miliardi di euro. A Tremonti è toccato dare il dettaglio, prima che la notizia si gonfiasse con esiti difficili da prevedere: «Il vecchio contributo avrebbe dato 700 milioni nel 2012 e 1,6 miliardi nel 2013» (2,3 miliardi nel biennio). «Non stiamo parlando, come si è detto in modo non responsabile, di una voragine nel bilancio di cinque miliardi».
Il fatto è che era stata appena resa nota la stretta sull’evasione fiscale, una delle più consistenti della storia italiana. E alle opposizioni era toccato cercare il mondo di fare digerire a militanti e simpatizzanti l’anomalia. «Vedrete che arriva il condono», spiegavano esponenti Pd. La parola condono è effettivamente comparsa più avanti, a proposito della riscossione delle somme non versate da chi aveva aderito nel 2002 pagando solo in parte la penale. Si potrà utilizzare ogni mezzo per ottenere quelle cifre. La proposta è del Pd e il governo l’ha fatta propria.
Nemmeno la maggioranza è immune. Tra le misure interpretate con una lente deformata, ci sono anche quelle - poi saltate - sulla previdenza. «Abbiamo salvato le pensioni dei poveracci», ha tuonato il leader leghista Bossi.
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