L’Osservatorio sulla Crisi Demografica della Fondazione Magna Carta, realizzato in collaborazione con WellMakers by BNP Paribas e Marsh Jointly, in qualità di soci promotori, e Microsoft come partner tecnologico, presenta i primi dati dell’indagine Cambiano i giovani, cambia il lavoro.
La ricerca nasce dall’esigenza di comprendere in profondità le ragioni per cui molti giovani rinunciano o rinviano la scelta di avere figli, collocando questo tema dentro un quadro più ampio di condizione giovanile che include retribuzioni, crescita professionale, percorsi di carriera, formazione, competenze, meritocrazia, mobilità, conciliazione famiglia-lavoro, visione del futuro e consapevolezza della crisi demografica.
Il cuore dell’indagine è un doppio questionario: uno rivolto ai giovani e uno rivolto alle aziende, coinvolgendo sia grandi imprese, sia piccole e medie. I giovani intervistati appartengono alle fasce 16–25 anni e 26–34 anni, con un ulteriore gruppo dedicato ai 22–25 anni, che permette di osservare le discontinuità e le continuità nel passaggio tra scuola, primo lavoro e scelte adulte.
Dal lato dei giovani emerge un quadro economico fragile. La distribuzione delle retribuzioni mostra una forte concentrazione nelle fasce più basse: tra i 16–25 anni prevalgono redditi nelle fasce 500–1.000 euro e 1.000–1.500 euro, mentre tra i 26–34 anni la maggioranza riporta valori inferiori ai 2000 euro. Tale contesto, insieme a percorsi di crescita percepiti come poco chiari, concorre a una generale sensazione di insicurezza.
Uno degli indicatori più significativi è quello della stabilità percepita. In una scala da 1 a 10, il punteggio medio è 4,9 tra i 16–25 anni e 6,1 tra i 26–34 anni. In particolare, in quest’ultima fascia il 53,6% evidenzia il paradosso della stabilità: anche chi ha un contratto con delle garanzie spesso non si sente realmente sicuro. A questo si aggiunge un dato trasversale: l’indice di fiducia nel futuro del Paese risulta molto basso, segnalando un clima di sfiducia che incide sulle scelte professionali, economiche e familiari.
Le differenze territoriali sono nette e incidono direttamente sulle condizioni di vita dei giovani. Nelle grandi città il costo della vita è indicato come uno dei principali ostacoli all’autonomia, mentre nei piccoli centri pesano la carenza di servizi e di trasporti; nel Sud si segnala inoltre la scarsità di opportunità strutturate e percorsi di carriera più lenti. In questo quadro, il reddito va sempre letto in relazione al contesto: nei piccoli comuni del Sud un reddito intorno ai 1.200 euro può risultare sufficiente grazie a costi abitativi e di trasporto più contenuti, mentre nelle grandi città, in particolare nel Nord, lo stesso reddito è spesso insufficiente. Ne deriva uno squilibrio tra opportunità e qualità della vita, che incide sulle scelte lavorative e familiari.
Il tema della conciliazione tra lavoro e vita privata emerge con forza e con un evidente divario di genere: secondo il rapporto, le giovani donne incontrano maggiori difficoltà rispetto agli uomini nel bilanciare tempi di lavoro e vita personale, con ricadute dirette sulle prospettive di crescita e sulle scelte familiari. Questa difficoltà è accentuata nei territori con minori servizi o con opportunità lavorative più limitate.
Il welfare aziendale assume un ruolo centrale anche dal punto di vista delle imprese. Le PMI dichiarano di offrire soprattutto strumenti essenziali: 46,2% smart working, 42,3% incentivi economici, 30,8% assistenza sanitaria integrativa e 30,8% congedi parentali ampliati. Le grandi aziende, invece, riportano politiche più strutturate, che includono servizi alla famiglia, programmi di wellbeing e percorsi formativi avanzati. Nel rapporto si specifica che per welfare si intendono tutti gli strumenti, monetari e non monetari, che incidono sulla qualità della vita del lavoratore e della sua famiglia, e questo elemento è riconosciuto come decisivo sia dalle imprese sia dai giovani.
La scelta di non avere figli è influenzata da una combinazione di fattori di natura economica e culturale ma che attengono anche ad una dimensione socio-antropologica più profonda. Per quanto riguarda i fattori economici a incidere sono in particolare redditi insufficienti, instabilità lavorativa, mancanza di conciliazione, costi dell’abitare e una generale incertezza economica. Accanto a questi compaiono ragioni personali, particolarmente rilevanti nella fascia 22–25 anni che spesso non si sente pronta o adeguatamente sostenuta.
L’indagine mostra evidenti differenze di genere nella conciliazione vita-lavoro: le donne tra i 26 e i 34 anni attribuiscono agli ostacoli legati alla genitorialità punteggi medi superiori di oltre un punto rispetto agli uomini, segnalando una maggiore pressione percepita e il timore di ricadute sulla carriera, mentre gli uomini dichiarano una più alta fiducia nella conciliazione pur riconoscendo che la gestione quotidiana dei figli ricade ancora prevalentemente sulle partner.
Dal punto di vista delle aziende la percezione è molto chiara: la crisi demografica viene considerata un fenomeno che incide già oggi sulla disponibilità di giovani qualificati e che, secondo la maggior parte delle imprese coinvolte, avrà effetti significativi nei prossimi anni sul ricambio generazionale, sulla produttività e sulla competitività del sistema produttivo italiano.
«L’indagine Cambiano i giovani, cambia il lavoro ci restituisce una fotografia chiara e articolata del Paese – ha commentato il Sen. Gaetano Quagliariello, Presidente della Fondazione Magna Carta - La crisi demografica non è più soltanto una dinamica di lungo periodo, ma un fattore che già oggi dialoga con le trasformazioni economiche e sociali in atto. Affrontare la questione significa quindi dotarsi di una visione di lungo periodo, capace di integrare politiche del lavoro, welfare e sviluppo, mettendo al centro le nuove generazioni.»
«Questa ricerca nasce dall’ascolto diretto dei giovani e delle imprese e mette in evidenza un elemento centrale: il divario tra aspettative e realtà – ha sottolineato la Sen. Annamaria Parente, Direttrice dell’Osservatorio sulla Crisi Demografica - I giovani chiedono stabilità, percorsi chiari, conciliazione e qualità della vita; le imprese segnalano difficoltà crescenti nel reperire competenze e nel garantire ricambio generazionale. Il dato forse più significativo è il paradosso della stabilità: anche quando il lavoro c’è, non genera sicurezza. È in questo spazio che si inserisce la crisi demografica, come esito di condizioni materiali e culturali che vanno affrontate insieme. L’Osservatorio continuerà a lavorare per offrire dati e analisi utili a costruire politiche capaci di tenere insieme lavoro, welfare e futuro delle nuove generazioni.»
«Le nascite sono ai minimi storici, l’età media cresce, l’indice di dipendenza anziani è tra i più alti in Europa. Meno persone al lavoro, più peso su sanità, pensioni, long-term care. Meno produttività e quindi PIL, comporta una minore competitività – ha dichiarato Stefano Colasanti, Head of WellMakers by BNP Paribas - Si rileva inoltre un forte mismatch di competenze. Ed aggiungo la fuga di talenti che porta fuori dal Paese proprio i giovani su cui dovremmo costruire il futuro. Questo è il quadro, che evidenzia che si impiegano tante risorse dove il sistema è rigido e si investe troppo poco dove potrebbe essere elastico, preventivo, generativo. È necessario costruire un programma specifico fondato su una partnership strategica tra Istituzioni, Mondo Accademico, Aziende. Partendo dal presupposto che non possiamo continuare a pensare – e di conseguenza agire – che il problema sia un onere che deve sostenere solo lo Stato. Solo con una discontinuità di pensiero ed azione potremo passare da una logica solo difensiva ad un sistema che torna a progettare futuro.»
«In uno scenario del mondo del lavoro che negli ultimi cinque anni ha vissuto trasformazioni radicali — ha evidenziato Anna Zattoni, co-Ceo di Marsh Jointly — crescono le sfide legate al benessere dei collaboratori, che si afferma come una leva strategica per sostenere la produttività, rafforzare la capacità di attrarre e trattenere i talenti e contenere i costi legati al turnover. Questo anche alla luce della presenza, all’interno delle aziende, di almeno quattro generazioni diverse, portatrici di bisogni di benessere eterogenei. In particolare, le generazioni più giovani attribuiscono un valore sempre maggiore a temi come l’equilibrio tra vita privata e lavoro, la salute mentale, la flessibilità e il senso di appartenenza. In un contesto segnato dall’inverno demografico, creare condizioni di lavoro che favoriscano la progettualità personale — inclusa la scelta di avere figli — diventa parte integrante delle politiche di wellbeing, attraverso strumenti come la flessibilità organizzativa, il sostegno alla genitorialità e servizi realmente accessibili lungo le diverse fasi della vita.
In quest’ottica, il corporate wellbeing, se correttamente orientato attraverso pratiche di ascolto efficaci in grado di intercettare i bisogni reali delle persone, si configura come uno strumento chiave per preservare e rafforzare la competitività delle organizzazioni sul mercato.»