Roberto Fabbri
Si alza il livello del confronto tra le cosiddette «corti islamiche», le milizie integraliste musulmane somale che hanno conquistato la capitale Mogadiscio e gran parte dellex colonia italiana nel Corno dAfrica, e lEtiopia. Sheikh Hassan Dahir Aweys, principale leader delle Corti, ha minacciato Addis Abeba di «guerra totale» se non ritirerà le proprie truppe dal territorio della Somalia.
Nel mese di luglio le Corti avevano accusato lEtiopia di aver inviato propri soldati oltre frontiera per proteggere il governo provvisorio da loro combattuto, installato da giugno nella città di Baidoa (250 km allinterno) dopo aver dovuto abbandonare Mogadiscio. Addis Abeba sembra in realtà essersi finora limitata a usare toni roboanti e pesanti minacce contro le milizie islamiche somale, considerate vicine ad Al Qaida (per questo motivo Aweys è considerato un terrorista dalle autorità degli Stati Uniti), ma non avrebbe per ora inviato truppe in Somalia a difesa di Baidoa come le Corti invece sostengono e come testimoni del posto hanno confermato.
Il ministero degli Esteri etiopico continua a negare e lo ha fatto anche ieri. «Non ci sono truppe etiopiche in territorio somalo - ha dichiarato un portavoce -, Aweys vuole solo fare dellEtiopia il punto centrale delle sue intenzioni nascoste». Il funzionario non ha però negato quanto sostenuto con forza dal suo governo in queste settimane, e cioè di voler impedire agli integralisti islamici di scalzare dal potere il governo legittimo, sia pure transitorio: «Queste menzogne - ha detto il portavoce di Addis Abeba - non faranno allontanare lEtiopia dai suoi principi: vedere la pace in Somalia, rispettarne lindipendenza e lintegrità territoriale».
La situazione in Somalia è in realtà quanto mai complessa. Dopo un decennio di vera e propria anarchia seguito al fallimentare intervento internazionale del 1993, con il Paese ridotto in assoluta miseria e riconsegnato allarbitrio di gruppi armati spesso dediti a traffici criminosi, faticosi negoziati avevano permesso il riformarsi a Mogadiscio di un governo legittimo. Il presidente Abdullah Yusuf e il primo ministro Ali Mohammed Gedi, sostenuti dagli Stati Uniti e localmente dallEtiopia, non sono però mai riusciti ad esercitare realmente il potere. Una bellicosa guerriglia islamica, schierata su posizioni tanto estremiste da pretendere linstaurazione in Somalia della legge coranica (la Sharia) e da far temere in Occidente che il Paese del Corno dAfrica possa diventare un nuovo Afghanistan in versione talebana, ha conteso con successo il controllo del territorio a Yusuf e soci, fino alla conquista della stessa capitale e di quasi tutte le terre somale del Sud fino al confine con il Kenya.
Il Consiglio supremo islamico della Somalia (Sics) persegue una politica aggressiva verso il governo di Yusuf, bollato quale nemico dei musulmani (che sono la stragrande maggioranza in Somalia), ma al tempo stesso si sforza di accreditarsi come la sola autorità in grado di restituire al Paese quella normalità che ha perduto con la fuga dei contingenti militari stranieri più di dieci anni or sono. Così alcune settimane fa è stato riaperto laeroporto internazionale di Mogadiscio, chiuso dal 1995. E ieri Aweys ha presenziato alla riapertura del porto internazionale della capitale, mossa che ha fatto seguito all'annuncio, dieci giorni fa, della presa islamica di Haradere, città portuale a circa 300 chilometri da Mogadiscio, che ha significato la fine della pirateria locale, che qui aveva la propria base per le scorrerie nell'Oceano Indiano.
Ma la pretesa delle Corti di riunificare la Somalia sotto il proprio controllo si scontra con la fattiva ostilità dellEtiopia (che a dispetto della propria mediocre situazione economica ha forze armate più che rispettabili) e con la secessione di due regioni settentrionali del Paese (il Puntland e il Somaliland) che puntano al riconoscimento internazionale. E proprio lestremismo delle corti islamiche potrebbe spingere Washington e Londra a rivedere la propria posizione di chiusura in tal senso.
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