Piccolo consiglio a sostenitori del «no» ai referendum sullacqua: volete imparare come spiegare alla gente che se passano i due quesiti questo Paese resterà a secco perché nessuno avrà le risorse per investire nelle infrastrutture, che oggi perdono in media il 30 per cento? Cercate le parole giuste per far capire la differenza tra privatizzazione e liberalizzazione? Non riuscite a far passare il messaggio che anche se la legge Ronchi resta in vigore lacqua resterà un bene pubblico? E che, di conseguenza, chi sostiene il contrario è in perfetta malafede? Bene, i vostri problemi sono finiti. Basterà riprendere pari pari lintervento a braccio di un Pier Luigi Bersani dantan nella «sua» Emilia-Romagna.
È il 18 settembre 2008: lattuale leader Pd è appena stato cacciato dalla sua poltrona di ministro dello Sviluppo economico. La sua lenzuolata sulle liberalizzazioni è finita, ben piegata e stirata, nellarmadio delle buone intenzioni democratiche. E lui, contrito e forse neanche troppo convinto delle cose che stava dicendo, prova a concionare di acqua, privatizzazioni e investimenti in quel di Carpi davanti a un drappello di compagni sconcertati. Tutta colpa di Aimag, società mista controllata dalle Fondazioni Cassa di Risparmio di Carpi e di Mirandola e dai comuni della zona tra Modena e Mantova, che a luglio aveva annunciato lintenzione di cedere alla ex municipalizzata emiliana Hera, quotata in Borsa, il 25% delle quote. Operazione andata in porto un anno dopo e che oggi si sta per riproporre, visto che Hera vorrebbe aumentare ancora la sua dote.
Il video che lo ritrae su youtube è la chiara, inequivocabile testimonianza che, come su tante altre cosine, Bersani ha fatto uninversione a «U» sullacqua per cercare di cavalcarne londa referendaria. Oggi è contro lapertura ai privati della gestione del servizio idrico. Allora, no. È lì, davanti ai compagni emiliani: cerca di far digerire il calice - per loro amaro - della «privatizzazione» dellacqua locale. È lì, in giacca e cravatta (rossa) a pescare da tutto larmamentario di metafore agresti, spiega che lacqua va affidata in gestione ai privati («A chi è capace... di fare quel mestiere lì»), proprio «per non disperderne neppure una goccia».
Applausi da clacque al Politburo, e giravolta spaziale: aria da don Camillo, sguardo verso lalto e frase biblica: «Lacqua è di Dio, ed essendo di Dio, bisogna restituirla tutta e pulita a chi ce lha data». Fantastica. Applausi. E ancora: «Lasciate perdere le suggestioni che arrivano da Porto Alegre, in Brasile, dove lacqua i padroni ce lha», sibila Bersani, che poi non perde loccasione di ricordare che anche altrove fanno così, che fa tanto di sinistra. «In Francia ci sono società grandissime che gestiscono lacqua in maniera eccellente». Applausi. E a chi gli sussurra nellorecchio, dopo lintemerata sullacqua «privatizzata», che oggi la Francia ha cambiato idea, lui risponde facendo sprezzanti spallucce: «No, no...».
Su una cosa aveva ragione, e oggi ha torto marcio: «Come facciamo in modo che si perda meno acqua? Come facciamo a gestirla meglio?». Serve il privato, perché «le aziende che vorranno partecipare non potranno rimanere quelle di adesso».
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