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La Lega apre al dialogo sulle intercettazioni: «Siamo con Napolitano»

Milano«Siamo molto uniti», dice il capogruppo alla Camera Marco Reguzzoni alla fine del consiglio federale leghista. Fa uno strano effetto buffo, come quando marito e moglie davanti agli altri fingono di andare d’amore e d’accordo. Non è da meno Federico Bricolo, presidente dei senatori: «La Lega è granitica e non ci sono correnti».
Per dare pubblica prova di concordia, i leghisti escono con una linea comune sul ddl intercettazioni, che tesse le lodi del capo dello Stato e ripropone la Lega mediatrice. Un modo di uscire dalle fibrillazioni delle ultime settimane della convulsa e tormentata nomina a ministro di Aldo Brancher, che ha appannato l’immagine del partito compatto, aperto l’attacco interno a Roberto Calderoli (tra i lumbàrd forse il più vicino a Brancher) e costretto il Senatùr a precisare: «Il federalismo sono io».
Ma i panni sporchi si lavano in famiglia e almeno per il momento non è l’ora della resa dei conti. Al contrario, il partito guarda all’esterno e al dibattito sull’approdo in aula del ddl intercettazioni. Il portavoce incaricato è Reguzzoni: «Credo che l’appello del capo dello Stato sia la sintesi a cui dobbiamo attenerci. Abbiamo assolutamente stima di Napolitano cercheremo di seguire le sue indicazioni mettendo la manovra prima di tutto». Aggiunge: «Tra Roberto Maroni e Roberto Calderoli non c’è assolutamente alcun problema, sono solo fantasie dei giornali. La Lega è molto unita e va avanti in maniera forte nella realizzazione del programma di governo, mi spiace darvi questa notizia».
Maroni e Calderoli rappresentano da sempre due linee di pensiero diverse nel partito, anche se le tensioni più recenti non riguardano il ministro dell’Interno e il titolare della Semplificazione con competenze federaliste. I malumori toccano soprattutto coloro che si sentono relegati in un ruolo minore, esclusi dal «cerchio magico» del Capo, dall’effetto Viminale e dai riflettori federalisti che illuminano Calderoli. Le critiche anche pesanti alla gestione del partito non sono però esplose e, almeno per ora, restano imbrigliate in cene più o meno conviviali e programmi di riscossa a breve.
Sotto traccia c’è anche la battaglia dei congressi, che dovrebbero eleggere il segretario sia in Veneto che in Lombardia e in Piemonte. La base e molti amministratori locali rumoreggiano in cerca di una conta dei voti per l’autunno ma alla fine sarà Bossi a decidere se mantenere lo status quo o dare un segnale di movimento per tenere buoni gli scontenti.
A Venezia è Flavio Tosi a chiedere un cambio alla guida del Carroccio. In Lombardia la contesa è tra due esponenti di Varese, ovvero lo storico segretario Giancarlo Giorgetti (attualmente in carica) e Marco Reguzzoni. Il fatto che il potenziale successore sia varesino come Giorgetti ne indebolisce un po’ le aspirazioni e tra le ipotesi circola anche quella che a guidare la Lega in Lombardia (con tutti i poteri di nomina che ne derivano) si candidi proprio Roberto Calderoli, oggi coordinatore delle segreterie del Carroccio, ruolo però più politico e altisonante che di governo. Gli scossoni degli ultimi tempi si capiscono meglio grazie a questo scenario, ancora di più pensando all’Expo e alle partecipate della Regione Lombardia.


C’è poi il caso Roberto Castelli, che in un’intervista al Giornale si è lamentato della mancanza di unità interna e di condivisione che si vive all’interno del Carroccio. «Le sue dichiarazioni si riferivano ad altro e non all’unità della Lega», commenta dopo il consiglio federale Bricolo. Ma è chiaro che in via Bellerio le questioni aperte non mancano.

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