Gian Micalessin
Se il buongiorno si vede dal mattino la trasferta americana di Ehud Olmert non promette niente di buono. La prima tegola lo colpisce a poche ore dallincontro con il segretario di Stato Condoleezza Rice. A tirargliela sono i ministri degli esteri della Lega Araba che annunciano dal Cairo la fine dellembargo contro il governo di Hamas. La misura viene definita una reazione alla strage di Beit Hanoun e al veto sulla mozione di condanna del massacro imposto dagli Stati Uniti al consiglio di Sicurezza.
Il significato politico di quella decisione va al di là delle motivazioni di facciata. Gettando alle ortiche lembargo concertato con Unione Europea e Stati Uniti dopo la vittoria di Hamas, i Paesi arabi dimostrano di sentirsi liberi dallinfluenza esercitata fin qui dallamministrazione Bush e di non aver alcuna fiducia nel governo israeliano. Il premier israeliano arrivato a Washington con lobbiettivo di convincere la Casa Bianca a non lasciarlo solo nella lotta contro lIran rischia di dover fare i conti con un totale cambio di rotta nella politica mediorientale. Un cambio ispirato anche dal ritorno in auge della «vecchia guardia» repubblicana di Bush senior. Olmert rischia anche di dover rendere qualche spiegazione. Laver fornito alla Lega Araba lalibi per metter fine allunica politica comune tra Lega Araba, Washington e Bruxelles è un danno di non poco conto. Quel «danno» rischia di rendere più complesso anche il contenimento di Teheran. Continuando lembargo anti Hamas le nazioni arabe rischiavano di perdere il sostegno delle proprie opinioni pubbliche e di regalare punti alla propaganda di Hamas e Teheran, che accusa i Paesi arabi moderati di sudditanza nei confronti di Washington.
Il diktat arabo del Cairo lascia ancora più solo e isolato Israele. Per contenere la corsa al nucleare di Teheran e la sua penetrazione in Libano attraverso Hezbollah il governo Olmert mirava a sfruttare la contrapposizione tra la potenza sciita e le nazioni sunnite instaurando un minimo dialogo con lArabia Saudita e migliorando i rapporti con Egitto e Giordania. Mosse condivise da Washington anche nellottica di rafforzare il presidente palestinese Mahmoud Abbas, e incrinare legemonia fondamentalista. Ora leffetto Beit Hanoun e il cruciale giro di boa sancito dalle elezioni americane rischia di cancellare tutti i piani. Il rischio più grosso per Olmert è di ritrovarsi a fronteggiare da solo la minaccia iraniana. Alla partenza per Washington il premier israeliano aveva, per la prima volta, accennato alla possibilità di unazione autonoma israeliana per fermare Teheran. Nelle intenzioni quella minaccia doveva convincere la Casa Bianca a garantire una politica comune anche in campo militare contro lIran. George W. Bush, pressato da un Congresso democratico e influenzato da previsioni dintelligence che stabiliscono in cinque anni, contro i due o tre israeliani, il punto di non ritorno nella corsa al nucleare dellIran, potrebbe anche decidere di non assecondare Gerusalemme.
Lincubo israeliano, da questo punto di vista, è quello di un amministrazione e di un Congresso Usa rassegnati ad accettare, come già successo con Corea del Nord e Pakistan, lineluttabilità della corsa nucleare di Teheran.
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