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La Lega e l’ultimatum di Pontida: "Non prenderemo la terza sberla"

Il Carroccio alza il tiro e avverte il premier. Ma sul referendum ha tenuto linee opposte: Maroni ha votato, Bossi è rimasto a casa

La Lega e l’ultimatum di Pontida: "Non prenderemo la terza sberla"

Roma - «Bossi quel che deve dire lo dirà a Pontida, ha un coniglio nel cilindro...». Si proverà a ripartire da lì, da quel prato carico di significati, per reagire alle «sberle» che continuano ad arrivare, prima le amministrative, ora il referendum, perché non si avveri il proverbio che Calderoli teme, «non c’è due senza tre».
Mentre Maroni, nel gioco delle parti leghiste, indossa i panni dello smarcatore e avverte il governo (di cui però la Lega fa parte) che «non si può tirare a campare», i vertici in via Bellerio hanno fissato le priorità da mettere in campo a Pontida, attorno a due grandi vettori: l’economia e l’immigrazione. «Dobbiamo dare risposte concrete, basta con i “faremo”, il referendum parla chiaro, la gente è stufa...», confessa un big leghista.

Ma il coniglio che Bossi tiene in serbo? Oltre al no alla missione in Libia (Salvini: «È una guerra, bombardano, ma nessuno ne parla più»), ci sarà un piatto forte per l’apparato e il popolo leghista. Una proposta di modifica del patto di stabilità dei comuni, quel vincolo (benedetto da Tremonti) che per i sindaci operosi del nord leghista è una cinghia micidiale. «Ogni anno il mio Comune mette da parte 4-5 milioni di euro, che si sommano a quelli degli anni prima - racconta un importante sindaco della Lega -. Ma su 30 milioni che abbiamo in disponibilità il patto ci permette di spenderne un quinto. Così non possiamo amministrare le nostre città». Bossi, a quanto pare, darà un ultimatum su questo, indicando al premier le condizioni per la «verifica» del 22 giugno. Ma Tremonti? Il pressing continua.

La Lega è inquieta, non vuole più sberle, ma i suoi parlamentari si fanno delle domande. Perché parlare ora di «sberla» se la Lega non ha fatto nessuna campagna elettorale sui referendum? Il partito non ha assunto una linea sui quesiti, se non alcune dichiarazioni in ordine sparso (Zaia che vota sì, Bossi che ancora domenica si augurava che la gente non andasse a votare, Maroni che vota due sì sull’acqua). E poi un sms arrivato sui telefonini dei deputati, che è tutto tranne che un’indicazione della linea da tenere con i militanti: «Bossi ha detto che non dovrebbe andare a votare», tutto al condizionale. Insomma una Lega in stato confusionale, che prima si disinteressa del referendum, ma poi, a quorum strasuperato, parla di «sberla». Perché? La lettura più accreditata dice che la Lega non ha tifato contro il quorum, anzi, perché la vittoria dei sì sarebbe servita al Carroccio per mettere all’angolo il Cavaliere. Cosa che infatti sta succedendo.

Quel che farà la Lega però non include mosse azzardate, solo una presa di distanza più marcata rispetto all’agenda del governo. Anche sulle missioni di pace i leghisti stanno analizzando a fondo la voce «spese». Non solo per quella in Libia, ma anche in Afghanistan, in Libano. «Se ne scoprono tante, da divertirsi, figurarsi che c’è ancora una motovedetta italiana nel Mar Rosso per la guerra del Sinai...» racconta un «economico» del Carroccio. Calderoli ha chiesto un ordine del giorno in Consiglio dei ministri sulla riduzione del numero di soldati impegnati nelle missioni e sulla riduzione delle missioni stesse. Anche qui però si tratta più di proposte propagandistiche che altro, perché le missioni internazionali (come ha ribattuto il ministro della Difesa) non sono un «Risiko» dove i soldati si spostano a piacimento. Quindi anche su questo problema si apre un altro fronte di frizioni con il Pdl.

Puntuali arrivano le avances dall’opposizione (Bersani: «La Lega rifletta con chi stare...»), ma il referendum (su cui pure la Lega è stata straordinariamente ambigua) «non è una spallata» all’esecutivo, dice Luca Zaia, un «referendario» leghista. Oltre alle confusioni sulla linea generale, con Bossi che consiglia il non voto e Maroni che invece vota, anche sull’acqua le posizioni sono divergenti dentro il Carroccio. Una parte «statalista» vede nella municipalizzate una cassaforte da non regalare ai privati, mentre una parte della Lega dice che «ora i Comuni torneranno a fare società in house e carrozzoni, così la spesa pubblica va a pallino». Insomma il caos. Perciò si guarda a Pontida come all’evento chiarificatore, in primis per la Lega, stretta tra varie anime, correnti, ambizioni, faide. Molti sono convinti che il premier non sia più «fit to lead», a Radio Padania gli ascoltatori incitano al divorzio, ma Bossi è molto più prudente. La Lega naviga a vista, e ogni appuntamento parlamentare diventa un penultimatum per l’alleato.

Saranno pure alla corda, ma sembra una corda abbastanza lunga.

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