Adalberto Signore
da Roma
Alla fine, seppure con un anno di ritardo rispetto alla tempistica statutaria, anche la Lega andrà a congresso. Prima quelli provinciali, la maggior parte dei quali già indetti, poi quelli nazionali (che nel Carroccio sta per «regionali») e infine latteso congresso Federale. La macchina, dunque, è già partita, nonostante un tabellino di marcia alquanto traballante. I segretari nazionali, infatti, dovrebbero essere eletti tra la fine di gennaio e linizio di febbraio, mentre ancora non è stato stabilito quando si terrà il congresso che nominerà il segretario federale (anche se venerdì è in programma una riunione a via Bellerio per stabilire sia il numero dei delegati, sia le modalità organizzative della stagione congressuale ormai alle porte).
Per il momento, dunque, riflettori puntati su Lombardia, Veneto e Piemonte, le regioni dove la Lega è più radicata sul territorio. Due delle tre partite, però, sembrano già chiuse. In Piemonte, infatti, è data per scontata la riconferma dellattuale segretario Roberto Cota, che ben ha fatto in questi anni arrivando in alcune zone anche a percentuali a due cifre. Nella sua Novara, per esempio, alle ultime amministrative il leghista Mario Giordano è stato riconfermato sindaco con oltre il 61 per cento dei consensi, una percentuale al livello delle roccaforti storiche come Varese o Treviso. Mentre in Veneto non sembrano esservi dubbi sulla riconferma di Gian Paolo Gobbo, segretario dal 1998 e oggi sindaco di Treviso.
Diversa, invece, la situazione in Lombardia. Visto che il segretario nazionale uscente Giancarlo Giorgetti ha più volte ripetuto a Umberto Bossi di non volersi ricandidare. Il Senatùr, però, non pare curarsene troppo se ancora nei giorni scorsi andava ripetendo ai suoi che «debbono ripresentarsi tutti i segretari uscenti». Ma la differenza tra il caso della Lombardia e quello di Piemonte e Veneto non è tanto questa. Né Cota né Gobbo, infatti, hanno avversari credibili nella corsa alla segreteria, a differenza di quanto potrebbe succedere se davvero Giorgetti confermasse il passo indietro. La segreteria della Lombarda, infatti, è nei fatti una delle poltrone più pesanti di tutta la Lega Nord, un movimento nato sì dalla federazione di realtà locali diverse ma estremamente lombardocentrico (non è un caso che tutti i ministri del Carroccio della scorsa legislatura fossero lombardi). E può diventare anche la strada maestra per far emergere le perplessità di alcuni colonnelli, convinti che negli ultimi tempi Bossi stia seguendo una linea troppo schiacciata su Berlusconi. Il Senatùr, infatti, resta intoccabile e nessuno si sognerebbe di metterlo in discussione davanti al congresso Federale.
La soluzione del nodo Lombardia, dunque, avrà effetti anche sulla linea politica complessiva del Carroccio, perché è chiaro che Bossi non potrà ignorare chi siederà su quella poltrona. La conta inizierà il prossimo week end, quando saranno eletti i delegati provinciali. Solo allora si potrà davvero valutare il peso delle diverse correnti (quella di Roberto Calderoli, quella di Giorgetti che può contare anche sul sostegno del Movimento giovani padani, quella di Marco Reguzzoni e quella di Roberto Maroni). E, probabilmente, solo allora il segretario uscente valuterà se cedere o no alle pressioni di Bossi. Perché se Giorgetti si ricandidasse la partita sarebbe chiusa da subito. Mentre in caso contrario i sommovimenti interni rischierebbero davvero di deflagrare.
Colpa anche di una situazione alquanto fluida, fatta di veti e antipatie trasversali. Verso Reguzzoni, per esempio. Considerato «troppo ambizioso» un po da tutti i colonnelli. Al punto che Calderoli e Maroni sarebbero pronti ad andare alla conta pur di tenerlo fuori dai giochi. Al presidente della provincia di Varese, infatti, si rimprovera un eccessivo attivismo e, soprattutto, una certa disinvoltura nel parlare in nome e per conto di Bossi. E pure Giorgetti non pare amarlo troppo. «È uno che va a cento allora - diceva di lui qualche tempo fa - ma rischia di finire contro un muro».
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