Una poltrona per due: Protti e Signori ne fanno 24 a testa

Nella stagione 1995/96 i due attaccanti si dividono il titolo di capocannoniere della Serie A: il Bari retrocederà comunque, mentre la Lazio arriverà terza.

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Sono entrambi brevilinei, ti fregano inevitabilmente nello stretto, esplodono conclusioni mortifere appena lasci mezzo metro libero. Capello che tende al lungo per tutti e due: biondo e liscio uno, crespo e castano l'altro. Maglie e obiettivi differenti. Ma stessa poltrona su cui stringersi, a fine campionato.

Nella stagione 1995-96, la classifica marcatori di Serie A si chiude con un dato raro: due vincitori a pari merito. Igor Protti e Giuseppe Signori finiscono entrambi con 24 reti, spartendosi la posta. Da una parte il bomber del Bari, principe illuminato dentro ad una squadra destinata alla retrocessione. Dall’altra il centravanti della Lazio, in piena affermazione in un club da vertice.

Protti segna 24 gol in 33 presenze, una media fotonica. Al Bari però non basta per sottrarsi al fondale della classifica. Avviluppato e retrocesso, malgrado abbia in squadra il capocannoniere: resta l'unico caso nella lunga storia della Serie A. Una vicenda che certifica il livello raggiunto dall'attaccante dei pugliesi, in grado di luccicare pure al cospetto di una stagione travagliata.

Dall’altra parte, anche Giuseppe Signori sbatte per 24 volte il pallone in rete, in 31 partite. Nove su rigore, classicamente battuto da fermo. La Lazio chiude terza, qualificandosi alla Coppa UEFA e confermandosi in crescita sotto la gestione di Zeman. Per Signori si tratta del terzo titolo da capocannoniere in Serie A, dopo quelli del ’93 e del ’94. Un triennio che lo vede diventare uno dei giocatori più determinanti del campionato, nonostante un rapporto mai pienamente risolto con la Nazionale.

Protti, che nella stagione precedente aveva segnato solo sette gol, è la deflagrazione più inattesa del campionato. Tredici reti le segna tra dicembre e marzo, in un girone di ritorno in cui diventa fatalmente ingiocabile per qualsiasi difesa. Realizza cinque gol in un mese contro Lazio, Roma, Milan e Inter. Eppure, il Bari continua a inabissarsi. Un controsenso apparente, ma che racconta il calcio con esattezza: una punta può anche far gol sempre, ma se la squadra imbarca di continuo i conti non tornano.

Il dato più interessante è proprio questo: dei 24 gol di Protti, solo cinque arrivano dal dischetto. Il resto è frutto di inserimenti, ripartenze e giocate d’istinto. Un attaccante “da strada”, generoso, con buona tecnica e un senso del gol maturo, seppure affinato tardi. Tanto che Protti, quell’anno, quasi incassa anche la convocazione in azzurro per l’Europeo in Inghilterra, anche se poi Arrigo Sacchi ci ripensa, preferendogli Chiesa.

Signori, invece, è ormai un riferimento offensivo di livello europeo. Il suo sinistro resta una glaciale garanzia. Segna in ogni modo: rigori, punizioni, diagonali. Beppe incarna il terminale ideale del gioco offensivo zemaniano, che si esalta nell’attacco alla profondità. Meno operaio di Protti, più rifinito, ma altrettanto letale.

Il dualismo Protti-Signori non fu mai una vera rivalità. Non c’erano polemiche, né scontri diretti particolarmente accesi. Ma il dato di fine campionato, quei 24 gol a testa, apre a una lettura più ampia. Da una parte il simbolo di un calcio di provincia che ancora permetteva a giocatori “fuori circuito” di esplodere. Dall’altra, il giocatore da squadra ambiziosa, con visibilità, continuità, prospettiva internazionale.

La stagione srotola il sipario con il Bari già retrocesso e Protti a segno anche nell’inutile vittoria sul Napoli, mentre Signori conclude il suo campionato con una doppietta contro il Piacenza. Due attaccanti a braccetto in vetta, con destini opposti. Per entrambi, quel gruzzolo di gol rimane uno dei picchi della carriera.

Negli anni successivi, Signori sarebbe rimasto ancora a lungo ad alti livelli con la Lazio e poi con il Bologna. Protti, invece, passò da Lazio e Napoli senza incidere e tornò a brillare solo con il Livorno, nella sua fase più matura, diventando simbolo di un calcio che stava cambiando.

Oggi, in un contesto che vede i grandi cannonieri orbitare attorno a poche squadre d’élite, quella classifica del

'96 rappresenta un’eccezione quasi irripetibile. Un attaccante retrocesso e uno qualificato in Europa, appaiati in cima. Due mondi diversi, un unico traguardo. E forse proprio per questo, indimenticabile.

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