Legge elettorale, l’Udc fa il gioco del silenzio

Gianni Pennacchi

da Roma

Cammina spesso per paradossi, la politica: paradossi che il più delle volte si rivelano poi apparenti, bizantinismi per coprir manovre che non possono ancora palesarsi. Forse è questo il caso odierno dell’Udc, o forse è davvero una situazione genuinamente paradossale, al limite del grottesco ma tant’è: nel momento in cui Romano Prodi e l’intera Unione scatenano un attacco furibondo contro la nuova legge elettorale, gli unici a non reagire, come se la cosa non li riguardasse, sono i timonieri dell’Udc.
O non era una pulsione postdemocristiana, il ritorno al proporzionale? Una vittoria dell’Udc, se la riforma elettorale approda all’aula di Montecitorio l’11 ottobre? Eppure, mentre il leader del centrosinistra annuncia per domenica una «grande manifestazione» contro la nuova legge «che vuole scardinare le regole della democrazia italiana», mentre Armando Cossutta avverte già che «l’ostruzionismo non basterà», Luciano Violante promette che saranno usati «tutti i mezzi» per bloccarla, si alza il fuoco di sbarramento della Casa delle libertà ma alla difesa non partecipa l’Udc, che di questa legge aveva fatto una delle due condizioni «irrinunciabili» (l’altra son le primarie) per la sua permanenza nell’alleanza. Meglio: tacciono gli uomini del segretario, i folliniani che più avevano alzato barricate per ottenere il proporzionale; e tal silenzio assordante copre anche la voce di Carlo Giovanardi che definisce «false e incendiarie» le parole di Prodi, e quella di Rocco Buttiglione che pacatamente ricorda come questa riforma si limiti ad aprire «una possibilità politica circa la riaggregazione dei moderati», senza mai dimenticare che «i sistemi elettorali condizionano ma non determinano i sistemi politici».
Il sistema proporzionale «è neutrale» perché «rispecchia la reale forza dei singoli partiti», ribadisce per Forza Italia Sandro Bondi che dà a Prodi dell’«irresponsabile», «avventuriero» e «disperato». Da An Adolfo Urso sostiene che Prodi «si sente in fuorigioco» e Maurizio Gasparri accusa la sinistra di «cercare la rissa». Sembra, invece, perplesso Umberto Bossi: «Cambiare la legge elettorale? Non mi convince troppo, io preferirei lasciarla così. La Lega preferisce avere magari meno voti e meno parlamentari, ma pesare di più politicamente. Fosse per me, non cambierei la legge, perché gli unici che ci smenano siamo noi. Poi Berlusconi vedrà cosa fare». Intanto gli uomini di Follini si scatenano contro chi dà notizia delle possibilità di dimissioni del segretario e dei preparativi già in corso per rimpiazzarlo.
Chi finisce col far le spese del silenzio centrista, è il nume tutelare dell’Udc, Pier Ferdinando Casini. Per far digerire agli alleati la riforma voluta dai folliniani, il presidente della Camera non s’è risparmiato. E per farla marciare in Parlamento, garantire che venga discussa e votata, è andato incontro a violentissimi attacchi, accuse e anche insulti dell’opposizione, che dopo averlo blandito per anni, ora gli nega ogni credito di imparzialità e affidabilità. E i «suoi», adesso mollano il proporzionale, come fosse affare di Casini e degli alleati?
In verità è così, e più s’avvicina l’11 ottobre più il ripudio di quella legge si fa forte e deciso. Per la plancia di comando dell’Udc, la riforma proporzionale senza il voto di preferenza è controproducente, anzi deleteria, le liste bloccate rafforzano l’«insana partitocrazia». A suggellare il disconoscimento di paternità, ieri è scesa in campo la segreteria regionale della Toscana, sul cui modello elettorale è stato disegnato il progetto nazionale: Nedo Poli avverte che «la legge elettorale toscana è un inaccettabile inno all’oligarchia».

Che avverrà l’11 ottobre? «Col voto segreto può succedere di tutto», vaticina un postdemocristiano di buon corso, «potrebbe anche passare l’emendamento che ristabilisce le preferenze, e Follini potrebbe anche dimettersi se invece non passa. Io non escluderei nemmeno che una decina di folliniani, nel buio dell’urna, possano dare una mano ad affossare la legge».

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