Politica

Legge elettorale, il primo round va al Polo

Casini rassicura: «Nessun meccanismo per controllare lo scrutinio segreto». Pienone in aula: presenti in seicento

Gianni Pennacchi

da Roma

Il momento della verità è giunto alla mezza, quando son state poste al voto - segreto ovviamente - le due pregiudiziali: respinte con uno scarto di tutto riposo, 326 e poi 325 no, pur se tra maggioranza e opposizione s’è ingaggiata una schermaglia sulla paternità di sette franchi tiratori. La controprova che la riforma elettorale avanzava senza seri ostacoli si è avuta nel pomeriggio col voto, anch’esso segreto, del primo emendamento soppressivo: bocciato senza speranze, 332 contro 263. E stavolta i sei franchi tiratori venivano indubitabilmente dal centrosinistra, che ai successivi scrutini ha deciso di concorrere alla bocciatura dei propri emendamenti per evitare che si palesasse una frana più seria, realizzando così una grottesca unanimità: 538 voti contro 45 e 2 astenuti, quindi 535 contro 47 e 3 astenuti, e avanti così sino all’ora di cena.
Escludere il rischio di sorprese, oggi che arrivano gli emendamenti più insidiosi, sarebbe azzardato. Ma se il buon giorno si vede dal mattino, è prevedibile che Montecitorio approvi il ritorno al proporzionale domani entro il primo pomeriggio, permettendo agli onorevoli un confortevole rientro a casa. Roberto Calderoli, ministro delle Riforme, non ha dubbi, e anticipa che il Senato darà il suo voto definitivo a dicembre. «Dopo la devolution», precisa. Perché se alla Camera la Lega ha dovuto digerire prima il proporzionale per avere la settimana prossima il voto alla riforma costituzionale, la regola dei patti chiari e amicizia lunga esige che a Palazzo Madama ci si scambino le priorità.
Dunque grandi respiri liberatori nella maggioranza, almeno per ora. Ma quanto sia stata convulsa la mattinata, al cardiopalma, colpiva gli osservatori. Erano tutti presenti, convocati di rigore. La segreteria del premier ha sollecitato persino il ministro della Salute e Francesco Storace ridendo ha risposto: «Se volete vengo, ma io non sono più deputato da quando ero governatore del Lazio, è difficile che mi facciano votare». Nervoso anche Pier Ferdinando Casini, mentre si votava il decreto contro la violenza negli stadi e s’avvicinava l’ora del proporzionale, scorrendo le presenze se ne è uscito: «Come è possibile che 74 deputati siano in permesso in un giorno come questo?». Evidentemente aveva dimenticato che sottosegretari e ministri si mettono in missione con settimane d’anticipo, per non perdere la diaria.
Infatti alle 11 erano quasi tutti presenti, pure Silvio Berlusconi che ha rinunciato al Kazakhistan. Mai visto un pienone come quello di ieri, le presenze di Montecitorio han sfiorato quota 600.
Col fiato sospeso fino a quei primi due voti segreti e poi quello palese che ha respinto la richiesta di sospensione dell’esame, 323 no contro 264 sì e 3 astenuti. La tensione è allora svanita, ed è tornato il sereno nella maggioranza. «Tutto come previsto», ha vantato Marco Follini. Casini ha concesso una nuova deroga, portando da 106 a 156 gli emendamenti dell’opposizione, e la seduta è stata sospesa per dar modo al Comitato dei 9 di far la cernita. Quando i lavori son ripresi, alle 15.30, l’atmosfera era ancora calda, con l’opposizione che insisteva nell’ostruzionismo, talvolta provava ad andare al voto mentre gli avversari erano in cortile a fumare; dunque pasticcini e noccioline sotto i banchi, visto che non ci si poteva azzardare ad uscire. E poi i complicati calcoli - vedi che in politica anche la matematica è un’opinione? - per etichettare quella manciatina di voti di dubbia paternità. Fino alla riprova delle 17.30, salutata con un applauso liberatorio dalla Cdl.
Dunque non rimaneva che gonfiar le nuvole, ed ecco le accuse ai dirigenti della Cdl di aver inventato una posizione obbligatoria dell’anulare onde costringere le proprie truppe a votare secondo disciplina. Ecco la leggenda di una “macchinetta” commissionata al Kgb da Luciano Violante, e ora ritrovata da Casini, per decriptare il voto segreto, «sono venuti addirittura dei miei, a domandarmi se era vero» confida ridendo l’ex presidente della Camera. A farne le spese è stato il ministro Calderoli, che se ne è uscito ricordando che «dietro le macchine ci sono sempre gli uomini», dunque lasciando intendere che è sempre possibile verificare i voti.

È scoppiato un putiferio, Calderoli è corso a spiegarsi con Casini, «ma era una battuta!», e il ministro Carlo Giovanardi ha dovuto chiedere scusa a nome del governo; senza però dimenticare di bollare quella dell’anulare come «una favola per bambini».

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