Tre accordi, sempre quelli ma che suonano sempre nuovi, che coniugano con sfumature che non invecchiano mai il blues e il rock and roll rendendoli ruvidi, esplosivi, selvaggi. In due parole la storia degli Ac/Dc, in pista dal 1973, con un palmares di duecento milioni di album venduti e unorda di fan che cresce a vista docchio. Come dimostra lultimo album Black Ice, che ha veleggiato alto nelle classifiche mondiali (e italiane)riportando nelle hit parade anche lo storico Back In Black targato 1980 (che tra laltro è il quinto album rock più venduto nella storia, pubblicato subito dopo la morte del primo cantante Bon Scott); come stradimostrano i due concerti, tutti esauriti da mesi, di stasera e sabato al Forum.
Evviva lhard rock, che non passa mai di moda a tutte le latitudini, soprattutto se passa dalle corde e dai tamburi di Angus Young (che da quarantanni si ostina ad esibirsi col suo vestitino vinaccia con il cappellino e le braghette corte) e dei suoi soci. Ventenni e cinquantenni tutti riuniti attorno agli australiani Ac/Dc - molti hanno acquistato il biglietto per entrambi gli show - che son tornati dopo otto anni di silenzio. Trionfa il dio metallo, il suono turgido, tonitruante, violento che è nato dal rock blues per approdare a sponde sempre più estreme. Lhard rock e tutti i successivi passaggi di musica dura (che si dipanano in mille rivoli passando dallheavy metal allo speed metal al recente nu metal) è al tempo stesso un business, unarte e una religione.
Amatissimo per la sua durezza - e inizialmente scomunicato dagli appassionati di blues - ha guadagnato le sue medaglie sul campo a suon di accordi e di atteggiamenti trasgressivi, dai travestimenti al culto di Satana e del mistero. Cè chi sostiene che lheavy metal sia una parodia del rock, ma il suo pubblico è in continuo aumento. Chiamatelo come volete - come dicevamo le sottili distinzioni tra generi e stili sono migliaia - fatelo discendere dal Walhalla dei Who o dalla follia degli Stooges di Iggy pop con come primi discepoli Led Zeppelin, Deep Purple, Black Sabbath, amatelo o odiatelo ma prendete coscienza che dalla metà degli anni Settanta, con lesplosione di Judas Priest (capostipiti dellheavy metal inglese sulle ceneri dellagonizzante hard rock) e Motorhead, tutti ancor oggi devono fare i conti col «metallo pesante» e coi suo «cavalieri della morte». I loro inni, ormai classici del rock, sono messe pagane che portano allestremo limmagine autodistruttiva, autolesionista, gotica del rocker. Nel loro sound e nella loro estetica cè il dark e lhorror e un miliardo di graffiti sonori. Quasi tutti sono ancora in attività: dai Blue Oyster Cult, poi schiacciati dal furbesco miscuglio di cabaret-commercio-horror-glam dei Kiss, dai vigorosi Rush allo «shock rock» dei Motley Crue allievi del maledetto trasformista Alice Cooper, passando per Bon Jovi, che prima di passare al rock melodico, nel 1983, coi primi album ci dava dentro di brutto.
Accanto ai gruppi costruiti a tavolino dallindustria negli anni alcune star si sono passate il testimone di questa cultura urbana e fuori dalle righe, dagli immortali Black Sabbath di Paranoid (chi non ricorda quel riff diabolico e allucinato) del vate Ozzy Osbourne (oggi anche un idolo televisivo)allo «speed metal» dei Metallica, che contro lappiattimento dellheavy commerciale lo hanno rinforzato e nobilitato avvicinandolo alla ballata e allhardcore, dagli Aerosmith alle epiche storie di desolazione urbaba dei Guns NRoses. Saranno invecchiati, fuori tempo o fuori moda, eccessivi per natura o per gusto delleccesso, ma quando accendono gli amplificatori sanno come far vibrare le budella dei fan (e non solo per il rumore).
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