Roma - Dunque Napolitano firma. Firma alle cinque della sera, dopo quattro settimane di polemiche esterne e di «approfondito esame» interno, nel chiuso degli uffici del Colle. Firma, e ora il legittimo impedimento, approvato dal Senato il dieci marzo, è una legge dello Stato: il premier e i ministri hanno uno scudo che per un anno e mezzo li terrà al riparo dai processi, in attesa dell’approvazione del nuovo Lodo Alfano, questa volta per via costituzionale. Ma la battaglia politico-mediatica-giudiziaria è tutt’altro che finita. Il testo non è ancora sulla Gazzetta ufficiale e De Magistris già parla di «ferita istituzionale», Di Pietro propone un referendum e i pm di Milano annunciano un ricorso alla Consulta.
Turbolenze prevedibili, che Giorgio Napolitano aveva messo in conto e che non hanno influenzato la sua decisione. Nel dare il via libera al testo, il capo dello Stato ripercorre infatti in gran parte la strada che lo aveva portato l’anno scorso a dire sì al Lodo Alfano, quello poi cassato dall’Alta Corte. E cioè, come si legge in una nota informale del Quirinale, «punto di riferimento del presidente della Repubblica è rimasto il riconoscimento dell’apprezzabile interesse ad assicurare il sereno svolgimento di rilevanti funzioni istituzioni». Un «interesse» che può benissimo «essere tutelato in armonia con i principi fondamentali di diritto» e che peraltro era già «contenuto nella sentenza della Corte Costituzionale numero 24 del 2004». Ossia, lo stesso verdetto che aveva spinto il capo dello Stato a promulgare il Lodo Alfano.
C’è di più. Il legittimo impedimento non è una forzatura o una bizzarria ma, sempre secondo Napolitano, fa parte della giurisprudenza italiana. Lo riconosceva anche la sentenza della Consulta che lo bocciò, provocando l’ormai famoso grande gelo tra Quirinale e Palazzo Chigi. Quel testo, fanno sapere dal Colle, fu respinto solo per il metodo, perché serviva una legge costituzionale non una ordinaria. Non per il merito, tant’è vero che la stessa Corte non metteva in dubbio «l’apprezzabile interesse» di assicura la governabilità al Paese. E ancora. «La legge approvata il dieci marzo - prosegue la nota - è apparsa rivolta a tipizzare l’impedimento legittimo disciplinato dall’articolo 420-ter del codice di procedura penale che la legge espressamente richiama».
Insomma, le modalità dell’impossibilità di presenziare alle udienze è stata addirittura migliorata, «fissata in categorie precise». Da tutte queste considerazioni, ecco quindi la scelta di firmare una legge ponte che entro 18 mesi dovrà essere sostituita da un Lodo Alfano «costituzionalizzato». Nel frattempo, Napolitano si augura «leale collaborazione istituzionale tra autorità politica e autorità giudiziaria».
Si vedrà. Intanto il Cavaliere e i suoi ministri potranno lavorare protetti da questo provvedimento che stabilisce come qualunque «attività coessenziale alle funzioni di governo» costituisca un legittimo impedimento, che sarà Palazzo Chigi ad autocertificare. Di fronte a un’impossibilità continuativa, verranno sospesi sia il processo che i tempi della prescrizione.
L’Idv è già sulle barricate, ma stavolta non attacca frontalmente Napolitano. «Non ci interessa stabilire di chi sono le colpe - dice Antonio Di Pietro - noi vogliamo chiedere ai cittadini se sono d’accordo che alcune persone possano essere processate e altre no». Luigi De Magistris definisce la vicenda «una parte del piano reazionario e autoritario di Berlusconi che contrasta l’articolo uno della Costituzione dove c’è scritto che siamo tutti uguali». Per il Pdci «si tratta di una brutta pagina per l’Italia», mentre da Milano i pm dei processi Mills, Mediaset e Mediatrade solleveranno eccezione di costituzionalità.
Lo faranno probabilmente il 12 aprile, data prevista per la prossima udienza sui diritti tv: in quel giorno tra l’altro il Cav sarà in volo per Washington.In silenzio i big del Pd. L’unico a parlare è il responsabile giustizia Andrea Orlando: «Pieno rispetto per il capo dello Stato, ma restano i motivi politici che ci hanno fatto dire di no alla legge».
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