La lente Consob sulle agenzie di rating

All’ondata di polemiche che aveva accompagnato l’aumento a sorpresa degli investimenti libici nel capitale di Unicredit, ai primi di agosto, ieri ha fatto eco la notizia che la Lia - Lybian investment authority - ha addirittura aumentato dello 0,5% circa la propria partecipazione, portandola al 2,59%. Sommando a questa la quota del 4,988% della banca centrale di Tripoli, la Libia ha ormai superato il 7,5%. Su questo, ovviamente, si è riacceso un dibattito piuttosto surriscaldato, che nemmeno le parole dell’ambasciatore libico in Italia («non c’è intenzione di scalata») sono valse a raffreddare. Da parte sua, il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, è convinto del contrario: «Siamo di fronte a una scalata bella e buona dei libici. Che vanno innanzitutto contingentati». I libici invece insistono che si tratta di un’operazione «strategica e di lungo periodo», nell’ottica di una diversificazione dal petrolio. Intanto il titolo in Borsa, che in mattinata era arrivato a guadagnare l’1%, ha finito per perdere il 2,48%.
Sullo sfondo, molte cose non aiutano. Non aiutano le immagini folcloristiche della visita del colonnello Gheddafi in Italia, non aiuta l’ultima sparatoria libica contro il peschereccio Ariete, finita miracolosamente senza sangue. Ma non è una notizia tranquillizzante nemmeno quella, appresa ieri, che il primo socio italiano, la Fondazione Cariverona, ha limato la partecipazione dal 4,98 al 4,63%. «Operazione di puro trading» assicurano da Verona, ma che tempismo. Mentre i libici ingrossano, gli italiani assottigliano le loro quote: se è coincidenza, non fa bene al dibattito sulla banca, e offre spunti ai dietrologi. I quali si sono già esercitati per interpretare i guai giudiziari di Paolo Biasi, presidente della Fondazione e quindi primo socio, rinviato a giudizio per bancarotta preferenziale proprio in questi giorni: anche questa tempistica è una pura coincidenza? In questo caso si direbbe di sì, perchè a Biasi ha già riconfermato «piena fiducia» il sindaco di Verona, Flavio Tosi, spianando così la sua riconferma alla guida dell’ente, che avverrà il 22 ottobre. Ieri la Fondazione ha intanto eletto 25 consiglieri in scadenza sui 32 che compongono il vertice; la bilancia dà più peso ai leghisti, e quindi al fronte più «nazionalista».
Varie partite sono ancora aperte. La partita Consob, in particolare, è complicata. Alla richiesta di chiarimenti del 26 agosto ha risposto solo la Lia e non la Banca centrale: nella lettera si conferma che i due soggetti titolari di quote - la Banca centrale e la Lia - sono autonomi e quindi titolari di voto disgiunto. Ora queste affermazioni e gli elementi portati a sostegno, sono al vaglio della Commissione che, ottenuta anche la posizione della Banca centrale, non avrà lavoro nè breve nè facile anche per l’assenza in Libia, di un interlocutore «alla pari»: a Tripoli non c’è nè Borsa nè Consob. Il quesito è: oggi i libici valgono un unico 7% oppure il 5 più 2, separati? Quel 5% è il limite posto al momento della privatizzazione, e sarebbe piuttosto paradossale che riuscisse ad aggirarlo proprio un azionista pubblico straniero.
Anche la Banca d’Italia, colta di sorpresa dai penultimi acquisti libici, è in attesa di risposte da Unicredit: la sua attenzione è rivolta alla governance e alla possibilità che questa possa essere modificata dal peso dei soci stranieri.

Il comitato governance, in una seduta piuttosto accesa, ha dato incarico al presidente Dieter Rampl di raccogliere tutte le informazioni necessarie a una risposta completa all’istituto centrale, che sarà poi discussa e varata nel consiglio di amministrazione di Unicredit del 30 settembre.

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