Leonardo in codice Un taccuino svela i segreti del Genio

Da domani al Castello il prezioso autografo su cui il Vinciano annotava caricature, liste di vocaboli, schizzi e giochi di parole

Marta Bravi

Un Leonardo che studia, che si documenta, che prende appunti. Un genio che non si sente all’altezza della situazione, lui uomo di bottega, «senza lettere» che si trova «catapultato» alla corte di Ludovico il Moro. Siamo a Milano nell’estate del 1482 e il grande Leonardo, presentatosi come ingegnere militare, viene invitato a prestare servizio per la casata degli Sforza. Ma Leonardo non si sente all’altezza dei «laudabili duelli tra intellettuali» che si svolgono tra artisti, architetti e intellettuali che frequentano la corte Sforza. Un taccuino ne raccoglie gli studi compiuti tra il 1487 e il 1490: annotazioni, riflessioni, schizzi. È il Codice Trivulziano esposto da domani alla Sala delle asse del Castello sforzesco.
Il Codice Trivulziano, insieme al manoscritto B, conservato a Parigi all’Institut de France, è il più antico manoscritto conservato del genio vinciano. Sulla datazione non sembrano esserci dubbi: nel taccuino si ritrovano, infatti, disegni relativi al tiburio del Duomo, per cui fu bandito il concorso internazionale proprio nel 1487, schizzi per una riforma urbanistica di Milano, che sono stati collegati all’epidemia di peste che colpì la città nel 1485. Anche la nota e il disegno che riguardano l’eclissi di sole e l’ingegnoso sistema pensato da Leonardo per poterla osservare senza ferirsi gli occhi confermano la datazione: si tratta probabilmente dell’eclissi del 16 marzo 1485. L’aspetto peculiare del Trivulziano, che ha portato a una nuova interpretazione filologica del codice e ad approfonditi studi sul lessico dotto del tempo, è l’elenco degli 8mila vocaboli annotati pazientemente da Leonardo. Non si tratta, come sottolinea Giovanni Piazza, del primo esperimento di vocabolario della lingua italiana, come si credeva nel ’800, ma della testimonianza più netta del lavoro quotidiano che impegnò Leonardo per impadronirsi degli strumenti, prima di tutto linguistici, propri dei letterati. Con un vocabolario ampio e preciso il genio avrebbe potuto agevolmente illustrare il contenuto dei suoi studi, delle sue invenzioni e scoperte, affermando, allo stesso tempo, la piena dignità delle arti meccaniche, la cui cultura sperimentale nasceva proprio nelle botteghe, rispetto alle arti «belle», cioè umanistiche.
Scrivendo con la mano sinistra, da sinistra a destra, come aveva imparato a fare, essendo autodidatta, il da Vinci trascrisse dunque migliaia di vocaboli, nelle stesse pagine in cui schizzava progetti, caricature, giochi di parole.
I vocaboli poi non sono in latino, ma in volgare: la traduzione in volgare del Ramusio del «De re militari» di Valturio, che fu stampata a cura dello stesso Leonardo nel 1472, il «Vocabolista» del Pulci, testo che l’autore stesso non aveva voluto pubblicare ma che era molto diffuso presso la corte medicea e il «Novellino» di Masuccio Salernitano.


La mostra, aperta fino al 21 maggio nella Sala delle asse, meravigliosamente affrescata da Leonardo stesso, è visitabile dalle 9 alle 17,30 tutti i giorni, tranne il lunedì, (intero euro 3, ridotto 1,50). Domani e sabato è prevista un’apertura straordinaria serale dalle 19 alle 21,30, per cui sono previste delle visite guidate (prenotazione obbligatoria 02-45487399).

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