Leonardo, messaggio al Milan: «Chi si lamenta è perduto»

nostro inviato a Milanello

Forse è merito del contagio mediatico provocato dagli scoppi di collera di Lippi e Maradona, forse è merito esclusivo dell’avvicinarsi della sagoma di Kakà e del Real Madrid, forse è venuto il momento in cui la sua panchina comincia a scottare davvero. Il risultato è semplicemente stupefacente: Leonardo ha preso di petto il Milan e lo ha sbattuto contro il muro. «Basta piangersi addosso» è stato il suo sfogo, recitato in modo educato ma con una “escalation” di toni e di espressioni che hanno regalato alla platea dei cronisti del sabato pomeriggio un Leonardo furioso, per la prima volta, dopo settimane di sorrisi imbarazzati, di lunghi discorsi, senza un morso, senza uno spunto, senza un pugno sbattuto sul tavolo. «Questo Milan può fare molto ma molto meglio rispetto a quanto concluso finora» è stata la sua lunga rincorsa. E non si è trattato del solito predicozzo per cementare la fiducia scesa a livelli bassi.
No, è stato semplicemente l’inizio della «sparata» di Leonardo che ha capito, finalmente verrebbe da aggiungere, uno dei problemi più importanti che hanno frenato fin qui il rendimento dei «senza Kakà e Maldini». Il deficit è psicologico, nato dall’estate vissuta con il lutto al braccio per la partenza di Kakà. Da quel giorno è intervenuta una pericolosa rassegnazione nell’ambiente e ogni difficoltà incontrata dalla squadra ha provocato scene di panico. «Tutte le squadre grandi e meno grandi hanno problemi, come o addirittura più complicati dei nostri, dobbiamo allora toglierci questa etichetta che gira intorno a noi, siamo noi che dobbiamo capire quello che siamo e non esistono occasioni migliori di quelle che arriveranno nei prossimi giorni» ha suggerito Leonardo, una specie di strizzacervelli per curare la malattia più grave dei berlusconiani. Non a caso è in arrivo la Roma stasera a San Siro, negli ultimi tre anni la bestia nera del Milan, capace di mandare per traverso anche l’addio di Maldini, a maggio scorso, e più tardi, mercoledì, il viaggio a Madrid, ai piedi di Kakà e del Real.
«Lo dico a tutti, a chi sta dentro Milanello e a chi sta fuori» il chiarimento intervenuto poi per definire l’obiettivo della sua intemerata. Il gruppo è troppo fragile dal punto di vista nervoso, ma anche l’ambiente intorno, nello stadio e fuori, ha preso a contagiarlo con insicurezze diffuse e la garanzia di un flop inevitabile, scontato. «Anche certe notizie sulla cessione del club, che poi non sono vere, possono provocare qualche contraccolpo: dobbiamo andare avanti con i nostri obiettivi» l’altra avvertenza di Leonardo allo spogliatoio.
Dev’essere per questo motivo che, ieri mattina, Leonardo, sempre così compito e asciutto, elegante nel suo linguaggio, non ha trovato sconveniente né la sfuriata di Lippi né gli insulti da bettola di Maradona. «Sembra che ci sia una guerra tra ct e tifosi, secondo me sono solo sfoghi, ognuno ha il suo modo di fare» la chiosa diplomatica.

Dev’essere per questo che, dopo lo sfogo, Leonardo s’è deciso a mettere da parte lo schieramento riferito all’era di Ancelotti per ripiegare sul 4-4-2 già sperimentato a Bergamo, con Pato e Ronaldinho davanti, e una robusta doppia diga di 4 pedine davanti a Storari. «La base resta sempre la stessa» suggerisce Leonardo che non deve inventare una nuova macchina ma almeno trovare la via d’uscita dalle curve (2 pareggi e una sconfitta).

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