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Il Leoncavallo concilia: «Fateci pagare l’affitto» Fidanza: «A rimetterci non deve essere Milano»

In vista del prossimo sfratto, previsto per il 17 maggio, il Leonka torna alla carica con una nuova richiesta di regolarizzazione. Al grido «Fateci pagare l’affitto» Daniele Farina, leader del Centro sociale, sollecita la riapertura della trattativa. Nei termini: il Comune sposta l’edificabilità in un’altro terreno dei Cabassi, proprietari dell’area, il suo valore scenderebbe, consentendo agli «abusivi» di pagare un affitto accettabile. «Prima lascino lo spazio occupato, poi trattiamo» replica il consigliere regionale del Carroccio Davide Boni. «Ripudino la violenza e ne riparliamo. E comunque, a dispetto di quel che dice Farina, questa operazione peserebbe sulle case comunali» gli fa eco Carlo Fidanza, europarlamentare del Pdl.
Nuove polemiche sul Centro sociale forse più famoso d’Italia, una questione che del resto si trascina dal 1978, quando un gruppo di giovani occupò un’area dismessa in via Leoncavallo. Nel settembre del ’94 vennero sgomberati dalla polizia e finì guerriglia urbana come Milano non vedeva da vent’anni. Tre anni più tardi 73 persone, tra cui lo stesso Farina, vennero condannate a pene variabili tra i quattro mesi e i cinque anni e tre mesi. Nel frattempo però era stato venne occupato lo stabile di via Watteau 7, aprendo una stagione di 16 anni di tira e molla, sfratti rinviati, soluzioni mai concretizzate. In questi anni però i leonkavallini si sono parecchio «imborghesiti» e da tempo sentono l’esigenza di chiudere la partita. E «il come», lo ha spiegato ancora ieri in conferenza stampa, lo storico portavoce Farina, chiamando in causa Comune, Provincia e Regione: basterebbe quel famoso scambio di edificabilità. «Prospettiva neppure sgradita alla proprietà» assicura. Sul piatto ci mette anni di tregua sociale e centinaia di manifestazioni culturali. E un bilancio di quasi 700mila euro all’anno. Un cifra che impone però una gestione manageriale, ora impossibile «Senza contratto non possiamo fare lavori di miglioramento dello stabile, né programmare gli eventi se non di due mesi in due mesi». Cioé tra uno sfratto e l’altro. Con il rischio che ogni volta possa essere quello buono. Il prossimo, per esempio è lunedì 17.
Una scadenza che secondo Boni fa apparire strumentali gli appelli al dialogo. «Nessuno infatti in questi anni, tanto meno il Comune di Milano, ha mai chiuso le porte a nessuno ma ha solo portato avanti la politica della legalità volta a garantire la sicurezza dei quartieri. Lo stesso non possiamo certamente dire di tutti quei centri sociali che occupano abusivamente delle aree, e non hanno mai mancato di creare disordini e caos in città in occasione dei loro cortei. Qualsiasi forma di collaborazione ha bisogno di un clima di rispetto delle regole: quindi, prima di intraprendere qualsiasi iniziativa, - conclude Boni - sarebbe auspicabile, come segno di buona volontà, che per lo meno si lascino liberi gli spazi occupati illegalmente».
Sulla stessa linea Fidanza che poi rincara: «Ripudino prima la violenza», aprendo un ping pong di dichiarazione con il portavoce del Centro sociale. Che controreplica: «Non è colpa nostra se la soluzione tarda, sono due anni che attendiamo risposte alla nostra proposta. Quanto alla violenza, l’abbiamo ripetutamente condannata anche durante la conferenza stampa» accusa Farina.

Risponde Fidanza: «Rimangono sempre alcuni nodi irrisolti: perché la legalizzazione del Centro sociale deve avvenire a danno, anche se indiretto, delle casse comunali e quindi dei milanesi in base a un meccanismo di perequazione che favorirebbe sia il privato che il Leonka? E perché centinaia di altre associazioni, che hanno scelto la strada della legalità devono accettare che chi ha occupato per decenni venga privilegiato?». La polemica, almeno fino al prossimo rinvio di sfratto è destinata a proseguire.

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