Leoncavallo, l’occupazione continua «Trasformiamolo in autogrill sociale»

Il presidente della Provincia: potrebbe diventare un albergo

Gianandrea Zagato

Quelli del Leoncavallo possono dormire sonni tranquilli. Anche stamani non ci sarà alcuno sgombero da via Watteau. L’uscita dell’ufficiale giudiziario sarà solo una formalità, giusto per recapitare un avviso di rinvio. E con questa di oggi per la proprietà dell’area, il gruppo Cabassi, sarà la sesta volta che sfuma la possibilità di rientrare in possesso dell’immobile occupato dal 1994. E, quindi, è solo folclore il presidio promesso dai leoncavallini che ben sanno di avere un alleato nella Provincia di Milano.
L’istituzione di via Vivaio si sta muovendo per trovare una soluzione definitiva: «Bisogna evitare che si ritorni indietro di dodici anni, con il Leoncavallo in giro per la città a caccia di una sede da occupare» osserva Filippo Penati. Che ha già un’idea sul futuro di quello spazio: «La proprietà potrebbe contribuire a far partire un progetto rivolto ai giovani, alle imprese creative e agli immigrati. Come contribuire? Con la disponibilità a lasciare quell’area al Leoncavallo a un prezzo, diciamo, equo». Dettaglio, quest’ultimo, che «libererà il gruppo Cabassi da un problema» e senza portare a casa niente o quasi. Ma in concreto che fare poi su quell’area? Penati vedrebbe bene persino una specie di «autogrill sociale»: «Sparsi per l’Europa ci sono hotel che offrono ai ragazzi alloggi per una notte a cinque, sei euro. Si potrebbe realizzarlo anche lì». Idea buttata là con una certezza, «la disponibilità della proprietà ad un atteggiamento responsabile e collaborativo ma in cambio di garanzie». E, naturalmente, occorre «la collaborazione del Comune di Milano nella definizione del progetto».
Ma l’idea penatiana non va giù ai Comunisti italiani, «spero che il Leo mantenga il suo ruolo di polo della cultura alternativa milanese e non sia trasformato invece in un ristorante per vip» annota Bebo Storti, capogruppo in Regione. Riferimento all’invito gastronomico che l’assessore alla Cultura di Palazzo Marino, Vittorio Sgarbi, aveva rivolto all’esponente di An, Silvia Ferretto. Ospite poco gradita, in verità, da quelli del Leoncavallo che, comunque, si dicono «pronti al salto di qualità nella ricerca di una soluzione per il centro sociale ormai non più dilazionabile». E fondamentale, osservano dal centrosinistra, è il passaggio del Leonka in fondazione. Come dire: deve prima legalizzarsi, magari sfruttando quella «fondazione la città che vogliamo» costituita nel 2004 e che, parola di Daniele Farina, ha già raccolto centomila euro.


Futuro che Matteo Salvini (Lega) definisce «un premio all’illegalità» che, secondo il consigliere comunale, sarebbe pure sostenuto da chi nella giunta di Palazzo Marino «vuole andarci a fare una cena a lume di candela: meglio farla in un posto che paga le tasse». Scontrino fiscale escluso, ribatte Sgarbi, il Leoncavallo «sembra una rotonda sul mare, con i tavolini e gente tranquilla, quasi una casa di riposo». E, infatti, i leoncavalli dormono sonni tranquilli.

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