La lettera segreta che creò il Papa del «gran rifiuto»

Fa una certa impressione, quella grande pergamena, vergata con tratto elegante ma deciso, dove i cardinali annunciano a Pietro del Morrone la sua elezione al soglio di Pietro. E non solo perché per la prima volta sarà visibile agli occhi dei curiosi che affolleranno i Musei Capitolini per la mostra Lux in Arcana in programma da febbraio e che propone un centinaio dei più preziosi e importanti documenti contenuti nell’Archivio Segreto Vaticano, ma anche perché si tratta di un atto che segna uno dei momenti più delicati della storia della Chiesa romana. Stiamo parlando della dolorosa vacatio prolungatasi per quasi due anni e terminata con l’elezione del frate benedettino Pietro del Morrone. Sì, proprio Celestino V, il pontefice del gran rifiuto, tanto esecrato da Dante che non volle concedergli gli onori del Paradiso proprio per la sua rinuncia. In verità i versi danteschi sono tutt’oggi molto controversi e discussi dai filologi. Non tutti concordano nel ritenere che la terzina «Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto,/ vidi e conobbi l’ombra di colui/ che fece per viltade il gran rifiuto» (Inferno, III canto), faccia riferimento proprio al frate molisano.
La preziosa missiva è, agli occhi di uno storico come Franco Cardini, un documento «necessario». L’elezione di Pietro del Morrone, racconta Cardini, «è avvenuta regolarmente. Però non era uno dei cardinali chiusi nel conclave e quindi la sua nomina doveva passare per un documento scritto». In una mostra come Lux in Arcana non c’è niente di casuale. «Scegliere di esporre questo documento è il frutto di una strategia precisa - sottolinea Cardini -. In questo modo la Chiesa mostra di non voler nascondere una fase oggetto di critiche e di attacchi, anche feroci. Nelle intenzioni degli organizzatori della mostra al di là della notorietà dei personaggi legati a questo documento (Celestino V e il suo successore Bonifacio VIII, ndr) c’è l’esigenza di dimostrare come l’elezione di un mistico quale Pietro del Morrone appartenga a pieno titolo alla storia vaticana».
La lettera che «nomina» il Morrone papa è rimasta sempre chiusa in quegli archivi vaticani. «La prima volta che ci entrai - ricorda lo storico toscano - ero un giovane studioso e rimasi sopraffatto dall’atmosfera che si respirava in quelle sale. Un archivio come quello vaticano merita di sicuro il plauso di tutti. Gli sforzi enormi, anche dal punto di vista economico, che il Vaticano compie per conservare e mettere a disposizione questi documenti dimostra un’apertura intellettuale e morale che non trova riscontro nelle istituzioni di tanti Paesi che si definiscono democratici».
Gli undici sigilli cardinalizi posti sul margine inferiore della pergamena testimoniano quanto sottolineato, poi, da molte cronache del tempo che descrivono il modo in cui al frate fu recapitata la lettera del conclave. Era il 5 luglio del 1294 quando i cardinali del Sacro Collegio, riuniti a Perugia, trovarono un accordo sul nome del celebre eremita benedettino. La lunga fase di stallo del conclave nasceva da insanabili contrasti tra i sostenitori delle potenti famiglie Colonna e Orsini, cui si univano aspirazioni personali e divergenze dottrinali tra ideali francescani e domenicani. Alla scelta del candidato concorsero la sua fama di santità, ma anche l’apprensione dei cardinali per la stabilità della Chiesa e dello Stato pontificio, la prospettiva di un pontificato breve, le pressioni politiche del re di Francia Carlo II d’Angiò che voleva rientrare in possesso della Sicilia allora sotto dominio aragonese. «Con la nomina di Celestino V - commenta Cardini - forse si è pensato di dare un messaggio sulla necessità di un ritorno alle origini, e in tanti hanno sottolineato il suo carisma e la sua spiritualità. Purtuttavia gli successe il cardinal Caetani, praticamente uno dei fondatori della monarchia pontificia, sulla linea di Gregorio VII».
La lettera d’investitura che verrà esposta ai Musei Capitolini preconizza il «gravoso ufficio». Celestino V era chiaramente spaventato ma non riuscì a sottrarsi (anche per via delle forti insistenze dello stesso Carlo d’Angiò che si assicurò personalmente che il religioso accettasse l’investitura). L’eremita, però, si rese conto fin da subito della propria incapacità a governare la Chiesa, estraneo com’era alle dinamiche di quel mondo da cui si era sempre sottratto per vivere nella solitudine e nel silenzio della preghiera.

Dopo cinque mesi e nove giorni di pontificato si dimise compiendo il «gran rifiuto» grazie a un escamotage giuridico formulato proprio dal suo successore Benedetto Caetani, quello stesso cardinale che per primo aveva fatto il suo nome in conclave e che poi verrà eletto subito dopo di lui con il nome di Bonifacio VIII. «L’elezione di Celestino V - commenta Cardini - sottolinea la tensione mistica della Chiesa, ma l’insuccesso della sua missione dimostra altrettanto bene che la mistica non basta».

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