Giuseppe Marcenaro è morto prima di riuscire a portare a compimento la sua ultima sfida culturale, il «salvataggio» della sua gigantesca biblioteca. Il giornalista, scrittore e curatore genovese scomparso all’età di 81 anni, lascia un piccolo “tesoro” di testi e memorabilia a cui negli ultimi anni della sua vita aveva cercato, invano, una sistemazione. Ma quel che lascia è soprattutto un’eredità immateriale di oltre cinquant’anni di lavoro nel mondo culturale, portato avanti in modo poliedrico. Più di duecento le pubblicazioni. Fondamentale il suo lavoro, ad esempio, per ripensare e riscoprire un giornalista gigantesco come Giovanni Ansaldo, basti citare titoli come: Lettera al redattore capo. Il carteggio di Giovanni Ansaldo (Archinto). Capitali anche gli articoli, i libri e le curatele su Eugenio Montale e Stendhal. Spiccano poi testi capaci di contaminare infiniti aspetti culturali come Cimiteri. Storie di rimpianti e di follie (Bruno Mondadori, 2008). Il cimitero raccontato sia come spazio fisico che mentale. Un saggio, ma potentemente letterario, una sorta di Spoon River in prosa. Basti a dare l’idea un passaggio come questo: «Sovente guardo la mia biblioteca come alla raffigurazione casalinga di un cimitero. La grande scaffalatura a parete è un superbo colombario senza un fine riconoscibile. I nomi degli autori impressi sui dorsi sono il paradigma immaginario delle epigrafi di un cinerario». Foi Memorabili anche le mostre (tra queste la storica Viaggio in Italia. Un corteo magico dal Cinquecento al Novecento, a Palazzo Ducale di Genova nel 2001), le iniziative culturali, gli editoriali di decenni di certosina presenza sulla stampa quotidiana e settimanale.
L’esordio sulle pagine de Il Lavoro e Il Secolo XIX, fino al Giornale, La Stampa, L’Espresso e le ultime collaborazioni con Il Venerdì di Repubblica e il Manifesto.I funerali saranno celebrati nella sua Genova. Il suo testamento in una frase: «La mia biblioteca tesoro, se troverà una casa, vorrei fosse un modo per condividerla per sempre».
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