
Ho più di cinquant’anni e mi sono persino laureato. Ho fatto anche un liceo, anche se scientifico, ma pur sempre con i gesuiti che ci tengono assai all’istruzione. E forse per questo mi sono avventato sulla meravigliosa coppia di Meridiani, appena pubblicata, dedicata alle Opere scelte di Philip Dick.
Conosco Dick, come conosco Asimov e il cyberpunk. La fantascienza mi ha sempre affascinato. Pur essendo stata a lungo considerata “letteratura di serie B”, mi ha sempre trasmesso l’idea di un ribellismo libertario. Non ne conoscevo esattamente i canoni, ma ne apprezzavo, per così dire, il rumore di fondo. La nuova raccolta dei Meridiani è dunque preziosa. Contiene anche una bella biografia scritta da Carrère e una densissima prefazione di Emanuele Trevi.
Leggevo, leggevo e mentre leggevo capivo di essere finito in un libro di Dick: io non sono quello che sono e la realtà non è quella che sembra e io non sono in grado persino di comprendere l’italiano. E soprattutto non sono in grado di capire quello che gli intellettuali scrivono forse perché la realtà non è come sembra essere o forse perché la realtà non è come sono loro, ma il punto fondamentale è che in tutto quello che ha scritto Emanuele Trevi, io non ho capito assolutamente nulla. C’era bisogno del koinos e dell’idios per farmi capire Dick e forse anche Ballard? Mah. Alla fine, credo di poter dire che io non sono io, non sono un amante di Dick, sono come Eichmann, un androide raccontato dalla Arendt, che non è in grado di avere alcuna empatia, persino nei confronti di Emanuele Trevi, che si è speso così tanto per farci appassionare ai romanzi di Dick mirabilmente collezionati dai Meridiani di Mondadori.
P.S. Sono sicuro che Trevi abbia tantissime cose da poter raccontare a uno come me, ma perbacco la faccia più semplice.
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