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Le lettere dei lettori al ritorno dal viaggio in Kenya

Le lettere dei lettori al ritorno dal viaggio in Kenya

Emanuela scrive:
Desidero esternare la mia riconoscenza al nostro Giornale che, grazie a questa iniziativa mi ha permesso di vivere un'esperienza nel suo genere unica, in un ambiente naturale splendido a contatto con un'umanità autentica e commovente. Le emozioni che ho provato resteranno in me a lungo. A tutti voi del Giornale il mio "asante sana".

Luciano scrive:
Mia moglie ed io siamo tornati entusiasti dal viaggio in Kenya organizzato dal "Giornale", al quale siamo grati per l'esperienza unica fattaci vivere, grazie anche alla capacità e alla solerzia dell'amico Passaquindici. Non è stata la classica vacanza di mare - che anzi, in virtù della stagione a ridosso delle piogge e delle maree sfavorevoli, è diventato secondario (ma quale escursione marina nella zona detta "Sardegna 2"!).
Però la bellezza dei luoghi, i comforts del villaggio, straordinario parco equatoriale, l'accoglienza calda ed ospitale della popolazione di Malindi ci hanno confortato e riempito le giornate.
Con il popolo del "Giornale" abbiamo poi vissuto una bella esperienza di integrazione: finalmente idee e sentimenti omogenei e scambievoli, senza l'accapigliarsi che caratterizza ormai la vita delle nostre città e perfino delle famiglie.
Ma sopra ogni altra cosa due sensazioni irripetibili e commoventi: lo scenario grandioso della savana, con i suoi riti quotidiani di sopravvivenza e di morte; e gli occhi tristissimi – severi e imploranti a un tempo – di in piccolo Keniota della scuola - orfanatrofio (ma anche delle centinaia di altri bambini) che Passaquindici ci ha fatto visitare. Una commozione che mi ha mosso senza remore al pianto e che mi induce a fare qualcosa per questi poveri bambini.
Il Giornale assuma quindi iniziative anche modeste ma concrete al riguardo ed inviti i lettori - il nostro popolo generoso – ad aderire secondo le possibilità di ciascuno.
Siamo infine in attesa di prossimi altri programmi di viaggio cui dovremo partecipare ancora più numerosi, nello stesso spirito che non è solo di svago ma anche di propositi di solidarietà umana e sociale. Grazie, grazie di tutto.

Paolo scrive:
Dopo aver viaggiato in Brasile e in Sud Africa, quindi dopo aver visto favelas e baracche, confesso, per la prima volta, di essermi sentito veramente impotente di fronte alla povertà e abbandono in cui versa la popolazione kenyana. Se poi pensiamo che siamo stati a Malindi, località marina ove il turismo aiuta moltissimo la popolazione locale, possiamo immaginare invece come possano essere le condizioni in cui si trova la popolazione residente all'interno o nei pressi degli altipiani.
Devo altresì riconoscere, per quel che ho potuto capire, che la mentalità di coloro che ho avuto la possibilità di avvicinare e con i quali ho potuto trascorrere anche lunghi periodi di conversazione (per inciso quasi tutti i giovani di Malindi parlano molto bene la nostra lingua, poiché in questa cittadina vivono circa 2mila italiani) è abbastanza intrisa di "fatalismo". Ovvero si vive giorno per giorno, senza fare programmi per il futuro e ciò naturalmente condiziona fortemente lo sviluppo di tali aree. Per fortuna vi sono molte organizzazioni, laiche e religiose, che assistono tali popolazioni, soprattutto nella fase dell'infanzia, ma vi è veramente tanto da fare.
Per concludere, ho incontrato una signora toscana che trascorre molta parte del suo tempo a Malindi e che mi ha raccontato come con la sua organizzazione di beneficenza sta cercando di insegnare ai nativi alcune attività elementari: cucire, intagliare, colorare, al fine di instillare, soprattutto nella mentalità dei giovani, quello spirito imprenditoriale, vero motore del progresso e della crescita sociale. Devo riconoscere che gli oggetti da loro prodotti sono fatti con buona tecnica e perizia.
Ecco credo che, oltre alle donazioni, adozioni a distanza, eccetera, eccetera, si debba cercare di far crescere queste popolazioni, insegnando a loro le attività artigianali di base e invogliarle a rimanere nel loro territorio e lì crescere e far crescere i loro conterranei, piuttosto che aprire le braccia, accoglierli qui da noi e poi abbandonarli per le strade.

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