Lezione di etica dall’attore di Molière

Prima di affrontare il Tartufo di Molière ora al Valle, Carlo Cecchi aveva messo a segno una coraggiosa lettura dei Sei personaggi in cerca d’autore dove il tema centrale dei mascheramenti e delle finzioni sociali saltava agli occhi con evidenza. Ricordarlo non è casuale. Non solo perché è stato uno degli spettacoli più applauditi delle recenti stagioni, ma anche perché il suo Tartufo ne sembra un’intelligente «filiazione», in termini contenutistici e formali. A ben vedere, la situazione costruita qui da Molière è molto articolata e, adottando la traduzione di Cesare Garboli, Cecchi si appropria anche del vigore interpretativo a essa sottesa, così da offrire una trasposizione scenica leggibile su più livelli. Tartufo diventa infatti un testo/spettacolo/metafora in cui il mellifluo impostore evocato nel titolo - viscido parvenu che per sete di denaro riesce a catturare i favori del ricco Orgone, foraggiando il suo senso di (pseudo) pietas e illudendolo di stare nel giusto - non risponde più solo all’immagine di un essere ripugnante e gretto (che alla fine sarà punito e arrestato), ma apre scenari più vasti, nei quali pure le vittime sono espressione di una società malata, imbellettata, sempre pronta a «recitare» il falso. Pur avendo «alle costole» un testo così forte, di cui ricordiamo l’allestimento firmato da Toni Servillo nel 2000, Cecchi sceglie la strada della sobrietà. Costruisce, cioè, un lavoro basato sugli attori e sulle parole. In pratica, sulla forza mimetica del teatro, sul ritmo del rimbalzo dialogico, sulla contraffazione elevata a topos di discorso e, complice la musicalità degli alessandrini, affida a ciascun interprete il compito di restituire personaggi «vivi». Ecco pertanto che, se il suo Orgone risulta originale ma forse in alcuni passaggi eccessivamente allegro, perfette ci sono parse le presenze femminili della servetta Dorina/Iaia Forte e della padrona di casa Elmira/Licia Maglietta (impegnata nel medesimo ruolo pure nella messinscena di Servillo). Mentre è proprio sulla figura di Tartufo che nutriamo alcune perplessità. Perché Valerio Binasco, attore di ben noto talento, qui sembra essersi calato addosso una maschera fin troppo diabolica e malefica.

Ciò non toglie, tuttavia, efficacia all’intarsio d’insieme e, soprattutto, all'atmosfera di recita nella recita, di artigianato comicale atto a leggere la lezione etica di Molière con gli occhi moderni di uomini e donne, attori e attrici, capaci di attraversare un classico come fosse stato scritto appena ieri.
Repliche fino a domenica. Informazioni: 06/68803797.

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