Politica

La lezione del Professore: insulti al governo

Si presentano i Disobbedienti, nessun incidente

La lezione del Professore: insulti al governo

Roberto Scafuri

da Roma

Da «grande» a «gran-dio-sa», l’escalation della manifestazione dell’Unione è un miracolo che si compie sotto gli occhi commossi di Vannino Chiti e degli altri leader in attesa sotto il palco in piazza del Popolo. «Quando in quattro giorni si riempie una piazza così - saremo 80mila, centomila -, certamente bisogna ringraziare l’organizzazione...». Il parterre è gremito di leader in attesa del Professore, ma manca anche Fassino e circola la giustificazione: «Scusate il ritardo, è andato a Messa...». Miracoli e conversioni inducono al buonumore: «Come tutti i neofiti non sa che si può andare anche la sera», celia Bordon. Splende il sole e la giornata è scintillante di luce, terzo miracolo di cui Prodi vuole personalmente attribuirsi il merito: «È regolare, in un autunno piovosissimo, tutte le volte che sono sceso in piazza non è mai piovuto». «Con Romano vai sul sicuro - aggiunge un organizzatore -, fattore c... e non ci piove!».
Palloncini e bandiere a profusione, sotto il palco prevalgono quelle rosse di Ds, Prc e Pdci. Per la questura si tratta di più di 30mila manifestanti. Ma la piazza sia pur lentamente si riempie: rispetto ai pienoni di Nenni, Almirante e Andreotti andrebbe forse tolta la «tara» dei tanti addobbi che prudentemente corredano la scenografia. Gazebo, archi di palloncini, strutture di vario genere e tipo, il pullman rosso a due piani di Bertinotti con i post-it della sua campagna per le primarie. Sospeso davanti al palco, un grande cartellone con il Voglio che esprime il sentire comune: «Voglio... dire a Berlusconi che il suo contratto è scaduto».
Lo ripeterà Bertinotti, «questa mobilitazione è molto forte, deve cadere il governo», ma 70-80mila che siano quelli della piazza, non sembrano sufficienti per la «spallata» che si vorrebbe. Eppure la gioia finale, l’inno di Mameli cantato dai leader e la spontanea «Bella ciao» che sale dalla folla, raccontano del patema d’animo dei giorni scorsi, della corsa contro il tempo, dello sforzo delle sezioni e delle associazioni per portare la gente a Roma, da ultimo l’ansia per il maltempo. Prodi, scendendo dal palco, ne sarà contagiato, non credendo ai suoi occhi: «Grazie a tutti, gli organizzatori, gli amici, quelli che sono venuti... Non me lo aspettavo come non mi aspettavo questo sole meraviglioso. Tutto bene, grazie». Tutto bene, la grande paura è passata. «Un flop? - aggiungerà il Professore -. Ci vuole un bel coraggio a criticarla, è stata una delle più belle manifestazioni degli ultimi anni, da tempo non ne vedevo una così bella, gioiosa, numerosa, le strade vicine erano piene. Si vede che la paura offusca la vista...». «Tutto bene», dunque: persino i Disobbedienti fanno la loro breve apparizione intorno a mezzogiorno e attraversano la piazza senza danno. Sono un centinaio, raccolti dietro lo striscione «La casa è la nostra questione primaria», sbucano da via del Babuino e vogliono raggiungere piazzale Flaminio. La «forza serena» (così la definisce Prodi) li fa passare, qualcuno urla: «La vostra è solo una provocazione!», loro abbozzano: «Stiamo solo passando, ce ne andiamo subito». Disobbedienti educati, parrebbero. D’altronde nel corteo dei «senzavolto» ci sono extracomunitari e mamme con bambini al seguito. Anche Prodi ha il suo bel pupo di tre mesi sul palco, figlio di un presidente di circolo. Attorno alla fontana, famiglie con ragazzini si godono l’inattesa gita in una delle più belle piazze di Roma.
Il Professore dà la carica all’Unione con lo sdegno e i toni attesi. «Noi non ci rassegniamo, non ci rassegneremo mai. Sappiamo che la maggioranza degli italiani è con noi, sappiamo che il Paese ha il diritto di essere governato come merita. Siamo offesi da tanta inettitudine, non meritiamo di essere governati così male, gli italiani meritano di meglio, molto di meglio...». Prodi critica la politica estera, «ridotta a incontri conviviali in ranches, in dacie, nelle sfarzose ville private fortificate con i nostri soldi», e quella interna, «hanno promesso miracoli e prodotto disastri». Prevale il timbro dell’«indignazione»: così il Paese e gli italiani «sono umiliati», la devoluzione «sciagurata», le leggi ad personam «spudorate», il premier «inadeguato», la maggioranza «litigiosa», la cui «incapacità è sotto gli occhi del mondo». La legge elettorale «riporta il nostro orologio ai tempi della partitocrazia imperante e della continua instabilità»; la Finanziaria è «irresponsabile e classista», la Finanziaria di «chi sta scappando». La piazza gradisce: come dirà Bertinotti, «ha alzato i toni come chiede il suo popolo».

E quando Prodi chiederà di votare alle Primarie, la folla risponde con un grido assordante: «Unità, unità».

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