La lezione di Tremonti: «L’Europa sta fallendo ora un nuovo Trattato»

Assicura di non essere venuto a Bruxelles per battere cassa: «Non sono qui a chiedere soldi per i migranti», dice Giulio Tremonti davanti alla commissione Affari costituzionali del Parlamento europeo. Il discorso è un altro, che scava in profondità nelle inadeguatezze dell’Unione. Nell’affrontare l’emergenza emigrazione e, in generale, la crisi geopolitica innescata dalle rivolte in Nord Africa e Medio Oriente, l’Europa, per Tremonti, è stata «missing in non action», insomma scomparsa nell’immobilismo, nell’inazione. Ecco perché la definizione di un nuovo Trattato, da adattare ai tempi, è «un’ipotesi da prendere in considerazione».
«Non mi risulta che l’Europa abbia dato un colpo di telefono alle Nazioni Unite, non mi risulta che la visione politica su questi fenomeni sia sufficiente. Al contrario - osserva il ministro dell’Economia - è totalmente, drammaticamente insufficiente». Dunque, uscire dai trattati no, ma rivederli in profondità sì, per adattarli ai tempi. Questa la posizione tremontiana di fronte ai malumori sull’atteggiamento di Bruxelles riguardo l’emergenza migranti, e la controversia al calor bianco fra Italia e Francia.
Di fronte agli europarlamentari che gli pongono domande su come sarà possibile rafforzare l’Unione, Tremonti rifiuta, come del resto ha sempre fatto, l’etichetta di euroscettico. «C’è chi dice che questo non sia un brutto posto: è un’opinione che condivido», dice. E tuttavia, la definizione di un nuovo trattato europeo è, per il ministro dell’Economia, una ipotesi non da archiviare ma da prendere in considerazione. Non fantasticando su improbabili separazioni, ma cogliendo l’occasione offerta dalla crisi per riscrivere i trattati in vigore, che mostrano gli acciacchi dell’età.
Non bisogna dimenticare, osserva infatti Tremonti, che «le intese attuali, scritte prima della globalizzazione, sono il prodotto di un mondo passato». Ecco dunque la necessità di una sorta di stress test, una prova di resistenza, per i trattati, riferita alla loro capacità di rispondere alle tre grandi crisi del momento: quella economica, quella geopolitica, quella atomica. Secondo il ministro, l’Europa non ha risposte al dopo-Fukushima, alla questione nucleare che ha «benefici locali e malefici globali». Opportuna, perciò, la riflessione su costi e benefici dell’energia atomica; ma sarebbe ugualmente opportuno finanziare la ricerca sulle energie alternative e rinnovabili. E per i finanziamenti, insiste Tremonti, si potrebbero utilizzare gli Eurobond.
Al ritorno da Bruxelles, Tremonti ha discusso al Senato i contenuti del Def (il documento di economia e finanza) appena approvato dal governo. «È un meccanismo aperto a tutte le proposte, anche con l’intervento delle forze economiche e sociali. Le proposte, anche quelle dell’opposizione, devono essere scritte - puntualizza il ministro - con metrica europea».
L’opposizione intravede nel documento la possibilità di manovre economiche da 39 miliardi fino al 2014, e si chiede dove il governo prenderà questi soldi. Una correzione dei conti per raggiungere nel 2014 il pareggio di bilancio «va fatta - replica il ministro - ma quella richiesta all’Italia è la più bassa correzione del mondo». Per ridurre il debito, annuncia Tremonti, il governo è deciso a vendere immobili pubblici: «Possiamo riprendere questo percorso, interrotto dalla crisi, però è necessaria l’approvazione europea». L’impegno a ridurre il deficit, va accompagnato, aggiunge, da una modifica della Costituzione.
Tremonti concorda sulla necessità di una maggiore crescita economica: «Dobbiamo fare di più, e possiamo farlo - osserva - ma la crescita è stata dell’1,3% con un deficit al 4,6%». In precedenza, pur apprezzando il rigore sui conti pubblici, la Confindustria aveva definito «deludente» il documento per quanto riguarda le azioni concrete per la ripresa.

Dopo il via libera del Parlamento al Def, «adotteremo le prime azioni: riguarderanno Mezzogiorno, opere pubbliche, edilizia privata, riduzione dei costi per le imprese». Il decreto di inizio maggio, conclude, conterrà un credito d’imposta del 90% per finanziare la ricerca.

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