Le lezioni di coda non cancellano le mazzette

L’11 del mese il regime istituisce «il giorno della fila» per insegnare a rispettare il proprio turno. Poi si scopre che nel 2006 sono stati 33mila i casi di corruzione. Ma Pechino non ne parla volentieri

nostro inviato a Pechino

Xinzhong Xili, blocco 19. All'angolo con la Chao Yang, grandi alberghi e uffici da armatori ricavati dietro superbi grattacieli di vetro fumée. Il blocco 19 è una lunga palazzina popolare ridipinta di grigio prima dei Giochi e nascosta alla vista delle auto e dei passanti da una lunga palizzata. Su questa, garriscono i colori olimpici e l'ecumenico volemose bene che inneggia a «un mondo, un sogno». Posto fantastico, a suo modo. Perché basta passare al di là della palizzata, come Harry Potter al binario 9 e ¾ di King's Cross (da dove parte il treno per la scuola di magia di Hogwarts) per entrare in un altro mondo. Di là una capitale ricca, moderna, in marcia a caldaie ingolfate. Di qua, una favela come non se ne vedevano neppure a Gela, in Sicilia, negli anni del bandito Giuliano. La strada sterrata, sentori di piscio e di minestrone freddo, ma con salsa di soia; vecchi ombrelloni davanti agli usci sotto i quali depositare gli anziani nelle ore più calde; promiscuità, panni stesi, i televisori a tutto volume, bambini con braghette che gli lasciano scoperto il sedere, per risparmiare sui pannolini…
Xu Zhijian, 45 anni, ha trovato ricovero qui, nel tugurio di certi parenti. Viene dalla provincia di Jilin, nel nord est. Dunque è un «dongbei ren»: uno sfigato, un «terrone» si sarebbe detto da noi negli anni Sessanta, prima che comparissero marocchini e albanesi. La gente del cortile lo prende ancora in giro per quella volta che nella bottega del quartiere trovò una scatoletta di cibo per cani e la mangiò deliziato, convinto che fosse carne di cane in scatola, molto apprezzata dalle sue parti.
I denti guasti, la pelle segnata da certe vecchie bruciature di calce viva, Xu è uno dei milioni di migranti venuti a Pechino dalla campagna per costruire grattacieli, città sportive, alberghi con una fila di stelle. «Ancora adesso lavoro anche nei turni di notte. Noi non ci fermiamo mai», racconta non senza un filo d'orgoglio Xu. La moglie, i figli, ha dovuto lasciarli al paese. Xu è uno dei 17 mila operai «migranti» che hanno costruito il bellissimo stadio «Nido d'uccello». La paga? Quattro dollari al giorno. Senza contributi, senza tutela sindacale, senza misure di sicurezza. Xu ha visto morire dei compagni di lavoro, piombati da lassù, d'inverno, quando gelava. Ma non vuole parlarne. «Questo lavoro è il solo che ho. Non posso perderlo. Ma un giorno spero di poter fare come mia cugina Tang, che si è comprata una vecchia Toyota e fa la tassista abusiva», dice raschiandosi la gola e mollando uno scaracchio che fila in direzione della palizzata.
Sputare è una vecchia abitudine dei cinesi. Ma stanno migliorando. Da almeno sette anni, in vista delle Olimpiadi, il municipio ha varato regole di bon ton rigide. Vietato sputare per terra, gettare rifiuti, schiamazzare inutilmente, mentre l'undicesimo giorno di ogni mese è stato ribattezzato il «giorno della fila», per insegnare ai cinesi ad aspettare il loro turno.
Uno che non ha aspettato il suo turno, e si è fatto prendere dalla libidine del dollaro è Liu Zhihua, ex vicesindaco di Pechino responsabile di tutti i cantieri cittadini in vista delle elezioni. Due anni fa lo arrestarono per corruzione (700 mila euro di mazzette per gli appalti) e condotta di vita «depravata» (ville e puttane…). Liu non si era inventato niente. Aveva solo seguito l'esempio di Chen Xitong, ex sindaco e capo del partito comunista della capitale, condannato nel '98 a 16 anni di carcere per corruzione e peculato. Dodici anni di carcere, per corruzione e appropriazione di fondi pubblici, beccò anche suo figlio Chen Xiaotong. Nel 2006, su 33 mila casi di corruzione denunciati ufficialmente, sono stati arrestati solo 1600 funzionari. Nel 2004 l'ispettore generale Li Jinhua ha riconosciuto che i fondi stanziati per le Olimpiadi nel 2003 per l'indennizzo a proprietari di terreni confiscati erano finiti per la maggior parte nelle tasche di funzionari del partito. E non è finita. Il verme della corruzione, dell'arricchimento facile ha bacato il Partito (che della sobrietà e dell'onestà faceva un suo punto d'onore) fino al midollo. Uno studio del 2005 rivelò che solo nella prima metà del 2003 più di 8300 membri del Partito e del governo sono fuggiti e altri 6500 spariti nel nulla per evitare grane coi giudici.
La corruzione del regime è uno dei grandi argomenti sui quali la Televisione di Stato non si sofferma volentieri. Chi ci guadagnerebbe? L'audience certamente no. Scandali, rapine, incidenti sul lavoro, omicidi, tragedie come terremoti e inondazioni: perché parlarne? Il partito unico, come la mamma, diffonde benessere, sicurezza, senso di protezione, armonia. Il controllo sociale, silenzioso e capillare, e il confortante consenso di cui gode il regime passano anche attraverso il divieto di installare parabole satellitari per la ricezione di canali internazionali. Sono esclusi gli alberghi, le residenze diplomatiche, le case degli stranieri e quelle degli «amici».
A Xu, il manovale del «Blocco 19», la Cnn o la Bbc però non mancano. Come la stragrande maggioranza degli abitanti dell'Impero di Mezzo, lui parla e pensa solo in cinese. «A me piacciono i film di kung fu, i film d'amore di Hong Kong, la musica…» dice tutto contento. Gli piaceva anche quella trasmissione di Ma Dong, una specie di Massimo Giletti locale. Una volta, a un ospite milionario domandò quanto avesse pagato le scarpe da scicchettone con cui si era presentato in trasmissione.

«Seimila yuan», rispose il tipo, una specie di Briatore locale. «Accidenti, sono circa 750 dollari. Più di quanto guadagna un cinese normale in un anno», scappò detto a Ma Dong. E lì si chiuse la sua carriera di spiritoso.

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