Gianni Baget Bozzo
La sconfitta di George W. Bush è stata vista come una liberazione da un incubo sia da questo lato che dall'altro lato dell'Atlantico. I suoi avversari hanno pensato che egli fosse non la soluzione al problema, ma il problema egli stesso. Soprattutto in Europa si è ritenuto che il suo unilateralismo complicasse i rapporti con il mondo islamico. E così l'Europa ha potuto pensarsi come quella che teneva le chiavi di un rapporto diverso tra Occidente e Islam. In realtà Bush ha rappresentato l'unica risposta pensata alla sfida posta dall'islamismo politico come unico soggetto politico alternativo all'Occidente.
La risposta di Bush è stata quella di portare il conflitto tra Occidente e Islam all'interno del mondo islamico, ponendo il problema della democrazia in Irak e quindi accettando di porsi come rappresentante dell'Occidente quale soggetto unitario. Ha pensato che lo scontro politico e militare fosse la via per stabilire un incontro delle culture e quindi sconfiggere l'idea della incomunicabilità tra Occidente e cultura islamica. Per quanto semplice sino alla rozzezza sia apparso il presidente americano, egli però ha offerto una risposta culturale al mondo islamico: separare la sostanza religiosa dalla forma totale della politica. E la prova di forza è nel linguaggio islamico, l'unica risposta possibile perché ciò che accade nel mondo sul piano dei rapporti di forza è segno della volontà di Dio.
La vittoria in Irak avrebbe segnato questo trapasso verso il riconoscimento dell'Occidente, come era già accaduto nei giorni del colonialismo quando non ci furono risposte religiose, salvo la forte resistenza della Tariqa dei Senussi in Cirenaica all'occupazione italiana (fu il primo caso di guerra santa islamica contro una potenza coloniale) e la rivolta di Abd el Krim in Algeria negli anni Venti del secolo scorso. Gli Stati europei potevano essere grati all'America che si prendeva tutte le responsabilità lasciandole la parte della bella coscienza che preferisce la pace e la diplomazia alla guerra.
Ora la situazione è più complicata solo perché il segno della forza è sceso sulla parte islamica e non sulla parte occidentale. È avvenuto nel conflitto libanese tra israeliani ed hezbollah. L'Occidente è stato sconfitto due volte e la sconfitta non è soltanto di Bush o di Olmert, degli Stati Uniti o di Israele: è la sconfitta dell'Occidente, della Cristianità dinanzi all'Islam, un segno che la benedizione di Allah sostiene con la sua forza i «combattenti di Dio».
Il mondo islamico, proprio per la sua tendenza a pensare l'unità del divino, pensa anche all'unità dell'umano: e vede l'Occidente come unità e l'Occidente come Cristianità. Vede il suo avversario in termini di unità e di eternità.
L'Europa pensa alla diplomazia, ora che anche gli Stati Uniti scelgono questa strada: una strada difficile perché avviene dopo due sconfitte. Non è facile vedere il modo in cui Siria e Iran interverranno per garantire una soluzione diplomatica al problema dello Stato iracheno, non si vede come essi possano essere mallevadori di questo Stato nato sotto le insegne dell'occupazione americana. Tanto più ora che in Irak il leader di Al Qaida può dichiarare di avere milleottocento sayd disposti al suicidio omicida da sacrificare in terra irachena. Anche per Siria e Iran l'ombra del califfato terrorista scende complicando le loro responsabilità di Stati; in più con una sfida particolare all'islamismo sciita della repubblica iraniana. E meno che mai si vede come sia possibile riprendere in queste condizioni la Road Map per la pace in Palestina fondata su due popoli e due Stati.
L'illuminismo europeo impedisce all'Europa di pensarsi come Cristianità e di comprendere la dimensione religiosa totale di cui l'Islam è portatore. La soluzione libanese non è frutto della vittoria delle Nazioni Unite, dell'Unione Europea e della sinistra italiana.
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