La «libertà» per Prc: televisione vietata ai film Usa

Nei progetti anche l’obbligo di trasmissioni promozionali e l’uso del 20% del canone Rai per produzioni mirate

La «libertà» per Prc: televisione vietata ai film Usa

da Roma

Ma sì, sorbitevi Ecce Bombo tutti i giorni in prima serata, semmai con relativo dibattito come ai bei tempi della Corazzata Potëmkin al cineforum, e se Nanni Moretti vi sembra troppo cambiate canale beccandovi Natale sul Nilo con introduzione di Massimo Boldi e Christian De Sica! Il bello della proposta rifondarola a favore dell’autarchia cinematografica è che in realtà le proposte son due: oltre all’obbligo di proiettare nelle sale almeno un film italiano ed uno europeo per ogni pellicola «extracomunitaria», c’è una proposta di legge gemella che «per favorire la produzione e la programmazione televisiva delle opere cinematografiche italiane ed europee» vuole imporre alle emittenti televisive nazionali di riservare il 70% della programmazione cinematografica a film e documentari europei, di cui almeno la metà italiani, con l’obbligo aggiuntivo di trasmettere almeno la metà di tali quote protette in prime time. E non finisce qui. Perché se ieri sembrava soltanto l’intellettual pensata di Rina Gagliardi, prestata alla politica dal giornalismo militante, che per «sostenere» il cinema nostrano prende a modello il protezionismo francese, ora s’è scoperto che ambedue i progetti presentati al Senato coi numeri 1130 e 1131 portano la firma di tutti i 27 senatori del Prc, col capogruppo Giova\nni Russo Spena in testa.
Insomma, trattasi di iniziativa politica seria; e va ricordato che pellicole «extracomunitarie» non son soltanto quelle che vengono dal Burkina Faso ma anche dagli Stati Uniti. Comunque, il provvedimento di Rifondazione muove dalla legge 122 del ’98 mirando a regole e limiti molto rigidi. Eccone le linee essenziali:
Programmazione - Le emittenti nazionali riservano alle opere europee (esclusi tg, eventi sportivi, giochi, talk show) «più della metà del tempo mensile di trasmissione». In dettaglio, sono tenute a riservare il 70% della programmazione cinematografica a film e documentari europei, di cui almeno la metà italiani. Il 50% di tale programmazione deve andare in prime time. Ampie le percentuali anche per la tv via satellite: 50% della programmazione riservata a opere europee, metà della quale deve andare in prima serata e 70% della programmazione cinematografica a film e documentari europei, metà della quale in prime time; e per la pay tv: 50% della programmazione a opere europee, metà della quale da trasmettere in prime time, e 70% della programmazione cinematografica a film e documentari europei.
Produzione - Le quote di investimento sono essenzialmente quelle già previste dalla legge 122, ma meglio specificate con riferimento al cinema. Le tv nazionali (satellite compreso) devono riservare almeno il 10% degli introiti pubblicitari alla produzione e all'acquisto di programmi audiovisivi europei, almeno il 60% dei quali devono essere film. In più, la Rai deve riservare almeno il 20% del canone esclusivamente alla produzione di opere europee (almeno al 60% film).
Promozione - Tra i punti del disegno, l'obbligo per ogni rete Rai di dedicare una trasmissione settimanale, sia radio sia tv, all'informazione sulla produzione cinematografica nazionale. Gli spot su questi temi non rientrano nei limiti di affollamento pubblicitario. Tutte le emittenti, satellite compreso, destinano uno spazio settimanale gratuito ai trailer dei film italiani.
Sanzioni - Chi viola le norme sulle quote di investimento è soggetto a una multa pari al 10% degli introiti pubblicitari dell'anno di riferimento.
Va detto che persino Pietro Folena, rifondarolo anch’egli e presidente della Commissione cultura della Camera, si dice «sconcertato» e pronto a sottrarsi a questa «guerra ideologica, perché il cinema americano è nel Dna culturale dell’epoca moderna».

Anche il dipietrista Massimo Donadi, dice «no alle quote tricolori» di Rifondazione, sorpreso che «nel terzo millennio ci sia ancora qualcuno che avanza proposte per un cinema di Stato». L’Istituto Bruno Leoni bolla l’idea come «demenziale». Mario Monicelli invece, decano dei registi italiani, benedice: «Sono d’accordissimo nel difendere a spada tratta il cinema italiano».

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